- reset +

Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

Direttore: Gianfranco Colasante  -  @ Scrivi al direttore

Duribanchi / Il calcio italiano perde anche la terza coppa

PDFPrintE-mail

Domenica 11 Giugno 2023

 

goal 2


“Eppure garantito che qualcuno parlerà di ‘rinascita’. Ora tocca alla inutile manifestazione della Nazionale: ma ‘Non si uccidono, così, anche i cavalli?’. Ma quel che conta è la conclamata certezza delle non-riforme, giustizia e altro”.

Andrea Bosco

MURGIA – Ho perso persone care per quello che ancora viene definito “un brutto male“. Ci sono passato anche io e sto vivendo una stagione complicata contigua al dolore fisico. Quindi ho un grande rispetto per la malattia. Per chi è malato e soffre. Per chi denuncia “di essere al quarto stadio“ e conseguentemente di non avere – presumibilmente – una lunga previsione di vita. Michela Murgia è malata, è una scrittrice che sta facendo la fortuna del suo editore. Piace a quelli che “piacciono“.

E' amata da millanta giornalisti e altrettanti pseudo-intellettuali. E' lgtb, è per l'utero in affitto, è pacifista, è verde, è ambientalista, è per l'imbarazzante schwa, è per la famiglia “allargatissima“, è per la revisione storica delle vicende del mondo. E va bene: tutto questo va bene. Fa parte dei diritti di una persona. A me la schwa fa cagare ma se a Murgia piace e chi la fa scrivere la tollera, nessun problema. Nella mia libreria ci sono un paio di libri della Murgia: uno sul fascistometro. In base al quale, lei Michela Murgia, se si auto-misurasse svetterebbe in classifica come “altamente fascista“. Ma lei ogni ora del giorno si dichiara anti- fascista sostenuta dal “cocchiero“ Roberto Saviano. Che non riesce a darsi pace per essere stato querelato da Meloni e Salvini.

Saviano scambia il diritto di critica (sacrosanto) con il diritto di insulto in base ad un ragionamento contorto che da Murgia ad Elly Schlein procede in maniera orizzontale: sei un politico e quindi hai potere. E se hai potere, il “popolo“ (entità storica con la quale la sinistra da decenni ha perso il contatto) ha il diritto di insultarti. Ha il diritto di non farti parlare. Ha il diritto di calunniarti. Ha il diritto di falsificare. La verità è che Michela Murgia è una autentica fascista. I nostalgici di Predappio, con quel padre che ha infilato al figlio di dieci anni la maglietta della X Mas, più che pericolosi sono patetici. Ridicoli nel modo di porsi, fuori dal mondo, assurdi. Il vero fascismo è altra cosa e non indossa il fez. Il vero fascismo è mentire: neppure per ignoranza, ma per il disegno perverso di farlo. E' quello che fa Michela Murgia, che viaggia sull'Orient Express (mica su una terza classe della linea siberiana) e che si lava le mani con “sapone dentro a dispenser di Lalique“, cristalleria di lusso francese che potevi trovare sul transatlantico “Normandie“ quando viaggiare per mare era roba esclusiva,

L'ultima impresa di Murgia è una vera “porcata“ ideologica. Avendo spacciato il saluto “attenti a sinist'“ degli incursori delle forze speciali della Marina durante la parata del 2 giugno sotto al palco di Mattarella come un saluto “fascista“. Scoperta, sbugiardata e smerdata, Murgia non ha fatto un passo indietro: “Sono antimilitarista“. E allora? Concludendo: “E poi La Russa al loro passaggio rideva compiaciuto e ha fatto persino il segno della V di vittoria“. La maestrina della “ciotola rossa“ non riesce a smentirsi. Dovrò leggerlo il suo libro di racconti per cercare di capire cosa abbia di tanto straordinario avendo provocato erezioni multiple a critici e saggisti. Pare che Lagioia, l'ex direttore del Salone del Libro di Torino, dopo averlo ultimato sia vissuto per una settimana in uno stato di goduria mistica. Pare che Schlein, amic** intim** di Murgia (mai scrivere “della“, che Murgia si incazza), abbia ordinato di silenziare i commenti Pd sulla “grezza“ pestata dalla scrittrice.

A Roma, ai Fori Imperiali, non c'era la X Mas di Junio Valerio Borghese ma i militi del Comsubin. Quelli che Murgia nella sua furia antimilitarista vorrebbe disarmare. Io ho servito tra gli assaltatori dei Lagunari, Reggimento Serenissima. Nel mio “corpo“ qualche fascista non dichiarato c'era. Ma c'erano soprattutto professionisti che mi hanno insegnato a difendermi e ad offendere quando la cosa si rendesse necessaria. Persino con una forcina. Una di quelle – pensi un poco Murgia – che probabilmente anche lei adopera e che ha sempre ritenute inoffensive. Non lo sono. Usate in un certo modo possono risultare micidiali.

POLACCHI – Gli unici veri cattolici d'Europa sono i polacchi. Che hanno subito la tirannia zarista, poi nazista, poi quella comunista e conoscono le dittature. Hanno pagato con il sangue. Loro e, con loro, gli ebrei. Nel Ghetto di Varsavia, nei campi di sterminio, nelle fosse di Katyn – 22.000 tra studenti, giornalisti, professori, industriali, politici, giovani e meno giovani, massacrati nel 1940 dai Commissari del Popolo – uno scempio attribuito dalla disinformatia nella quale da sempre la Russia è abilissima, inizialmente ai nazisti. Gli Alleati lo sapevano fin dal 1943 ma tacquero visto che i Russi erano loro alleati.

I polacchi sono coraggiosi al limite dell'irresponsabilità. Come testimonia lo stormo che si distinse nella Battaglia di Inghilterra. Come testimonia la Cavalleria che si lanciò spade e alabarde in resta alla carica contro i Tigre tedeschi. I polacchi non si fidano dei tedeschi. Ma odiano, di un odio mortale, i russi. E' questo che non riesce a capire l'Europa. Non riesce a capire che ogni provvedimento varato a Varsavia risente di due elementi: la fede e l'ostilità politica. I polacchi prendono la fede molto seriamente. Non gli piace la Chiesa secolarizzata che piace a Francesco. I polacchi sono molti criticati, reputati bigotti e retrogradi rispetto ai diritti civili. Ma i polacchi credono in qualche cosa ormai disatteso in Italia e in molti paesi del Continente.

Non sta a me dire se questo sia giusto o sbagliato. Io ho difficoltà a credere: non sono il miglior divulgatore possibile in materia. Ma so che i polacchi credono nella loro Madonna Nera. E detestano Kirill, emissario religioso di Putin che Francesco vorrebbe incontrare ed abbracciare a Gerusalemme. Francesco sogna la pace. Ma “si vis pacem para bellum“: se davvero la vuoi, la pace, devi prepararti alla guerra. Certamente non con i gerani in mano come vorrebbero le Murgia e i Santoro.

La religione e la politica. Sul Corriere della Sera, Paolo Mieli ha ottimamente sviscerato un saggio di Emma Fattorini che analizza le divergenze all'interno della Chiesa nei rapporti con i regimi comunisti. I ricordi sono quelli del Cardinale Silvestrini. Andrebbero imparati a memoria per capire i polacchi. Scrive Fattorini: “Stefan Wyszynski era un principe della sua Chiesa, una sorta di sovrano slavo, capace di trattare sia con le locali autorità governative, sia direttamente con Mosca, incutendo generale rispetto e timore“. Vale la pena di rammentare che quando a Danzica gli operai di Walesa entrarono in sciopero suscitando un marasma nel mondo sovietico, non impugnarono armi e neppure forconi: esposero le foto della Madonna Nera, del cardinale Wysznynski e quelle del vescovo di Cracovia che sarebbe diventato Papa: Karol Wotyla. Il quale come Giovanni Paolo II alle Nazioni Unite tenne un memorabile intervento. Il cui testo durante il volo aereo aveva fatto leggere al cardinale di Stato Casaroli. Che il Capo delle Segreteria Vaticana aveva “tagliato“ nei passaggi più duri “riguardanti la libertà religiosa e i diritti umani nei Paesi comunisti, largamente presenti all'assemblea“. Beh: “Wotyla li ripristinò tutti: uno per uno“.

Ecco perché la Polonia odia la Russia. Ecco perché appoggia l'Ucraina. La Polonia non è l'Ungheria nel sangue della quale scorrono globuli tzigani, nomadi e certamente contigui agli uomini delle steppe. Nonostante un uomo come il cardinale Mindszenty, catturato e perseguitato sia dai nazisti che dai sovietici, torturato, rimesso in libertà durante l'insurrezione del 1956, riparato, dopo la fine tragica di quel breve afflato di libertà, nell'ambasciata americana dalla quale sarebbe uscito solo nel 1971 per intercessione di Richard Nixon. Andò a Roma, ma essendo del parere che i cattolici si dovessero unire in una santa crociata contro il comunismo venne emarginato prima da Papa Roncalli e poi da Paolo VI, gli artefici del dialogo con i paesi comunisti. Rimase in Vaticano pochissimo: il nuovo “clima“ politico era per lui intollerabile. Qualcuno nelle gerarchie vaticane (lui che era stato torturato da nazisti e sovietici) lo considerava un “fascista reazionario“. Montini che era un uomo vendicativo (si potrà dire di un Papa?) lo aveva, prima della morte, sollevato dall'incarico di metropolita di Esztergom.

Rammenterò sempre cosa mi disse Alberto Ronchey nella sua casa di Roma (dove ero andato ad intervistarlo) ai tempi della rivolta di Danzica: “Se i Russi invaderanno la Polonia come fecero in Ungheria e hanno fatto a Praga, si ritroveranno ai confini una cosa paragonabile a dieci Vietnam: i polacchi hanno qualche cosa che in Europa non si riesce più a percepire, la fede“. Fate un giro a Varsavia, a Cracovia, a Czestochowa dove nel Santuario (gestito da paolini ungheresi) c'è la Madonna Nera con Bambino (forse, ma non è accertato) risalente al periodo bizantino. Ogni anno è meta di 4 milioni di visitatori, in costante aumento. Se ci andate: o conoscete qualcuno che vi agevoli, oppure disponetevi ad una lunga fila. Ogni giorno è la stessa cosa.

PAVIDI – Disse Emiliano Zapata, eroe della rivoluzione messicana: “E' meglio morire in piedi che vivere in ginocchio“. Io mi vergogno di essere uno juventino. E di esserlo da troppo tempo per poter cambiare squadra. Non mi vergogno per una penalizzazione che forse è giusta, forse è immonda, forse è il frutto di un complicato esercizio politico dove in fondo il più onesto di tutti è stato Sughero Petrucci: lui la riforma della giustizia sportiva non la voterà. A lui questa kafkiana giustizia sportiva che sa di Tribunale dell'Inquisizione, sta bene. Perché dopo l'Inquisizione, come ben sa Petrucci, ci sempre gli inutili “tavoli della pace“. Che non servono ad alcuno ma servono (molto) ai Petrucci.

No, mi vergogno perché la Juventus ha un proprietario che si chiama John Elkann. Che dopo essersi dichiarato “innocente“, ha piegato le ginocchia e si è messo una mutanda d'amianto per vedere di preservare quello che un mio compagno di liceo (di Bologna) definiva “di sua vita il più bel fiore“. Elkann non è andato al Tar. Elkann non è andato a Strasburgo. Elkann ha patteggiato. Elkann ha accettato i 10 punti di penalizzazione. Ora Elkann ha mandato due lettere di “pre-disdetta“ a Barcellona e Real Madrid per “sganciarsi“ dalla Superlega. Elkann ha mentito: a tutti. E prima ha baciato la pantofola di Gravina. Ora si appresta a leccare quella di Ceferin. Se va bene Ceferin escluderà la Juventus per una/due stagioni dall'Europa. Se va male Ceferin costringerà la Juventus a disputare la ridicola Coppetta del Bisnonno, torneo aziendale, vinto dalla Roma del linguacciuto Mourinho, l'anno scorso.

Per evitare di (forse) morire in piedi, Elkann ha preferito vivere in ginocchio, come tutti quelli privi di coraggio. Ora Elkann confermerà Allegri, che alla Juve ha vinto molto, che è stato lasciato solo per tre quarti di campionato, ma che dal suo ritorno alla Juve ha fallito. Solo le ragazze con la vittoria in Coppa Italia hanno salvato l'onore, in questa stagione, della Juve. Ma le ragazze hanno cuore. Gli “eroi“ strapagati della Juventus, quasi tutti hanno pasta frolla. Allegri esprime una idea di calcio preistorica. E' vecchio di “pensiero“. Affidargli ancora la squadra subendo il ricatto del suo biennale mega-contratto residuale (43 milioni di euro) dimostra quanto ad Elkann della Juventus non importi un tubo. Né del risultato sportivo e men che meno dell'immagine. La Juventus ha fatto una figura di merda: in tutti i sensi. Se è colpevole, meritatamente. Se non lo è, “gratuitamente“.

Certo che è ben strana la giustizia sportiva di questo paese. Che colpisce una sola società, e grazia tutte le altre. E che neppure quando il New York Times rivela che l'Inter ha un buco di bilancio pari ad oltre 800 milioni non fa un plisset. Forse (ancora una volta) la Juventus è stata ferita da “fuoco amico“. Ora i tifosi hanno due strade: o ingoiarla, la merda. Oppure protestare disertando abbonamenti tv e stadio, trasferte e raduni. Racconteranno che quanto è stato fatto è avvenuto per “salvare“ la Juventus dal baratro economico. Non è vero. La Juventus ha un forte buco di bilancio ma ha asset solidissimi. Elkann lo ha fatto per dare soddisfazione a Gravina e a Ceferin. E per liberarsi una volta per tutte dello scomodo cugino che aveva vinto nove scudetti di fila. E che forse ha una non emendabile colpa: quella di chiamarsi Agnelli. Come ha detto un potente ad una cena romana che tutti continuano ad ignorare e negare: “Chi vince troppo fa male al sistema“. E le vittorie di Agnelli hanno fatto male al sistema. Ma lo hanno fatto anche ad Elkann. La Juventus è definitivamente cadavere. Elkann ne ha abbandonato le spoglie sulla via della Continassa. Meglio sarebbe per lui vendere e lasciare il club più prestigioso d'Italia a chi abbia voglia di ridarle dignità e una speranza. Dedicato a quelli che “il calcio deve essere popolare: vade retro Superlega“.

Popolare come il City del paperone del deserto? Quel City sul quale pendono oltre cento procedure di infrazione che mai verranno messe all'incasso. Il City è uno dei club che garantisce il monopolio di Ceferin. E' lo “sgherro“ che impedisce ad altri club di crescere. Citofonare per informazioni all’altro club di Manchester. Che pure non è gestito da pezzenti. Si è disputata Manchester City-Inter, finale di Champion's League. Il club più ricco del mondo ha battuto (non senza una buona dose di fortuna) il club più indebitato del mondo. Per vincere l'Inter avrebbe avuto bisogno di qualche cosa di “inaudito“, tipo il suo primo scudetto della storia. Ma in Turchia non è accaduto.

Guardiola ha vinto il suo Triplete. Il calcio italiano ha perso tre finali su tre. Ma garantito che qualcuno parlerà di “rinascita“. Ora tocca alla inutile manifestazione della Nazionale. Il titolo di un film recitato “Non si uccidono così, anche i cavalli?“. Ma in fondo poco importa a Gravina se i calciatori si infortuneranno e si sfiancheranno. Lui è diventato vice presidente dell'Uefa. La Juventus è un cadavere ambulante. Ceferin e Infantino (per non parlare della stampa di regime) parlano bene di lui. Abodi e Malagò, non faranno la riforma della giustizia sportiva. Lui non riformerà i campionati “tagliando“ il numero delle partecipanti. Nessuno toccherà l'infame meccanismo di elezione del presidente federale. Abodi non chiederà una commissione d'inchiesta dopo le gravissime ammissioni di Cellino alla trasmissione “Report“. Meglio di così per Gravina non potrebbe andare. E' il “suo“ calcio: decisamente repellente. Ma i gattopardi se ne fottono dello schifo altrui . E gattopardi presidiano il potere . E non lo mollano : mai .  

 

Cerca