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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

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I sentieri di Cimbricus / La sovrana dei popoli piu' sportivi

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Sabato 18 Aprile 2020


elizabeth


In "robe manteaux" giallo tuorlo, era in tribuna il 30 luglio 1966 nel vecchio Wembley quando l’Inghilterra, con il gol fantasma di Geoff Hurst, conquistò la Coppa Rimet: gli inventori diventavano campioni del mondo.


Giorgio Cimbrico

A parte qualche mese passato sotto Giorgio VI, sono sempre stato suddito di Elisabetta II, un suddito felice. Possedendo una sterminata collezione di francobolli britannici e dell’Impero e non avendo mai trascurato di seguire le vicende della Famiglia Reale, ho una buona riserva di immagini e di sensazioni che il discorso dell’altra sera ha risvegliato, non senza commozione, specie quando la Bbc ha accluso le immagini di Elisabeth e di Margaret davanti al microfono: era il momento di convincere molti loro coetanei di lasciare Londra, colpita dal blitz, per la campagna, per il Canada. Ottant’anni fa.

Non è facile dare un ordine ai ricordi. Di sicuro c’è che il suo regno da record – distanziata anche Victoria che diede il suo nome a un’epoca - iniziò con un record: qualche giorno prima dell’incoronazione Edmund Hillary, un neozelandese asciutto e essenziale come un tronco modellato dal vento, salì in cima all’Everest in compagnia dello sherpa Tenzing Norgai. Fu, con il record del miglio di Roger Bannister, l’anno dopo, l’ultima conquista di un Impero che stava iniziando la dissoluzione, e venne seguita da un giovane inviato delTimes, Jan Morris, che nascita, apogeo e tramonto di un’epopea avrebbe narrato in una memorabile trilogia.

Morris, ormai da decenni donna, è divisa da Elisabeth da pochi mesi: la Regina è nata il 21 aprile a Londra, Jan il 2 ottobre a Clevedon, nel Somerset. Per entrambe l’anno è il 1926. A parte qualche veterano, sono tra le poche a ricordare la Seconda Guerra Mondiale: l’ausiliaria Elisabeth Windsor guidava i Dodge offerti dagli americani, Jan servì nel 9° Lancieri della Regina e finì nel Territorio Libero di Trieste.

A chi ha desiderio di conoscerla sotto una nuova (fantasiosa) angolazione consiglio “La sovrana lettrice” di Alan Bennett. Serve a chiarire perché Madam ha sempre la borsetta: porta sempre con sé un libro. E’ una pura illazione di Bennett e, anche se non ha una base reale, è affascinante e la rende più vicina, meno sottoposta a quella forma rigida in cui è stata spesso costretta. In privato avrà pianto su quel baobab, in Kenya, dove venne raggiunta dalla notizia della morte del padre; si sarà indispettita per una serie di problemi famigliari; avrà avvertito l’infrangersi della barriera della freddezza dopo la morte di Diana.

Sovrana dei popoli più sportivi della terra – a livello di creazione, codifica, partecipazione -, la Regina non ha mai avuto molto a che fare con quella dimensione, se si fa eccezione per il mondo dei cavalli, amatissimo e seguito sin dal momento del breakfast, quando una delle prime testate consultate era, e probabilmente continua a essere, Sporting: fitte colonne di appuntamenti, condizioni della pista, quote. Una volta Frankie Dettori mi raccontò che, la sera del suo addio al celibato, venne intercettato da strani personaggi in abito scuro: erano gli agenti dell’MI5 spediti n quel magnifico regno equino che è  Newmarket per portare gli auguri autografi di Sua Maestà al suo jockey preferito.

Oltre ai corgy, simpatici cagnotti gallesi, ha sempre amato i cavalli e sino a quando se l’è sentita, ha sfilato in groppa, e in divisa da colonnello, in quel bel giorno di primavera in cui gli alberi di Londra sono di un verde allegro e i reggimenti della Guardia le rendono onore. L’occasione si chiama Trooping the Colour. Pare che ancor oggi vada in sella, al passo.

Era in tribuna il 30 luglio 1966 nel vecchio Wembley quando l’Inghilterra, con il gol fantasma di Geoff Hurst, conquistò la Coppa Rimet: gli inventori diventavano campioni del mondo. In “robe manteaux” giallo tuorlo, dispensò le medaglie ai Ramsey’s Boys con un viso equilibratamente lieto e pare che quel buonanima di Martin Peters si sia dato una pulita alle mani prima di accedere al Royal Bo per ritirare la medaglia. Di calcio la sovrana aveva sentito parlare vagamente dall’immarcescibile ed eterna mamma Elisabeth Mary, indicata dai tabloid come tifosa dell’Arsenal. Qualche anno fa il Sun azzardò che anche il cuore di Elisabetta battesse per i Gunners. Lo “scoop” nacque da una confessione di Cesc Fabregas durante una visita a Buckingham Palace. Sull’attendibilità, omissis.

A Wimbledon è andata nel ’77 per il centenario dei Championships (portò bene: vinse Virginia Wade detta Ginny, ultima britannica ad alzare il piatto) ed è tornata qualche anno fa per una breve visita e una chiacchierata con Murray e Djokovic. E nell’81 - era una gelida giornata di febbraio e così indossò una calda pelliccia di chinchilla e, come disse Paolo Rosi, uno spericolato cappellino di paglia verde - varcò il Severn e partecipò a un altro compleanno tondo e centenario, quello del rugby gallese.

Nel 2003 le toccò inevitabilmente di ospitare l’Inghilterra che aveva appena conquistato la Coppa del Mondo di rugby: i reduci della finale di Sydney, i Woodward’s Boys, non furono invitati a cena ma per un tè con pasticcini. Per dei giocatori di rugby poteva andare bene così. La mamma di Josh Lewsey raccomandò al figlio di non sorbire troppo forte se la Regina era nelle vicinanze. Il fidanzamento e il matrimonio della nipote Zarah con Mike Tindall non ha contribuito ad avvicinarla a quel mondo di nasi storti e visi sempre più plebei. Quand’era ragazzina a rugby giocavano quelli che andavano a Repton, a Harrow, a Eton.

Altri appuntamenti che non poteva mancare: le cerimonie inaugurali dei Giochi Olimpici di Londra ’48 (da principessa:suo padre Giorgio VI era ancora sul trono) e di Montreal ’76 e di una nutrita serie di Giochi del Commonwealth. Otto anni fa ha abbandonato ogni formalismo e si è lanciata, in tutti i sensi: ha invitato Daniel Craig a Palazzo e da 007, il suo agente più fidato e con una milizia lunga quasi quanto il suo regno, e si è fatta convincere a intraprendere una missione: imbarcarsi su un elicottero e, appesa a un paracadute, planare sullo stadio di Stratford che stava per ospitare la cerimonia di apertura delle XXX Olimpiadi. Mica male per un’86 enne, molto sorridente mentre assisteva alla calata dal cielo della sua controfigura.

 

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