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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

Direttore: Gianfranco Colasante  -  @ Scrivi al direttore

I sentieri di Cimbricus / Che ne facciamo di questa Olimpiade?

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Martedì 24 Marzo 2020

 

stadium

 

"In giorni di desertificazione dello sport, di scomparsa di una dimensione, l'appuntamento rimane un simbolo anche se trasformato in un gigantesco affare per la sua portata finanziaria".

 

Giorgio Cimbrico

“Veder scendere il livello, perdere l’integrità, vivere nell’angoscia: non lo vogliono gli atleti, non lo vuole il nostro mondo”: Sebastian Coe invia a Thomas Bach una lettera breve, così eloquente da provocare scosse nel castello di Vidy. Se chi guida l’atletica passa dalle parole più o meno mimetizzate – “nessuno sta dicendo che dobbiamo andare a Tokyo per forza”  alla proposta di rinvio, se sta consultando le sue aree continentali per ottenere una scontata adesione, è il caso di ammettere che qualcosa deve esser rivisto, ma non a giugno – allegra e disinvolta data di scadenza – ma prima, molto prima, a fine aprile.

Perforata da problemi come i dardi che piovevano addosso a san Sebastiano, e che in questi anni non hanno mancato un Sebastian elevato alla baronia, non alla santità, l’atletica prova a dimostrare la sua forza, la sua dimensione di primo motore dell’Olimpiade (lo dice la storia) ed esercita il suo peso tirando in ballo gli atleti, le loro difficoltà in allenamento, la possibilità che la tensione strappi l’anima e i tendini, che il volume delle imprese non registri nuove appendici se non verrà deciso qualcosa di definitivo, di sostanziale, di forte.

La WA – ex IAAF – ha portato al 2021 i Mondiali indoor di Nanchino, ha allineato una serie di spostamenti di maratone molto classiche e molte attese (Londra, il 26 aprile, doveva trasformarsi nel faccia a faccia cosparso di storicità tra Eliud Kipchoge e Kenenisa Bekele), ha iniziato a sfrondare l’albero della Diamond League, è pronta a nuovi sacrifici. Non è stata sola in questa assunzione di responsabilità: chi avrebbe scommesso su una fermata del Molok della F1?

In giorni, diventati settimane, di desertificazione dello sport, di scomparsa di un dimensione (insieme ad altre, sino alla riduzione a una sfera di solitudine, reclusione, sensazioni primarie: fame, sete, caldo, freddo, paura), l’appuntamento che, con tutte le mutazioni cui è stato sottoposto, rimane un simbolo, forse una luce, si è trasformato in affare imprescindibile per la portata finanziaria, l’impatto economico, l’invadenza degli sponsor e dei network. La lettera di Coe, le nette prese di posizione di Canada e Australia, riportano in scena l’Olimpiade degli atleti, della loro salute fisica e mentale, della prudenza che non può essere sacrificata ad atteggiamenti disinvolti per interesse.

La Regina ha fatto la sua mossa. Una strategia da allargare a tutta la scacchiera prevede interventi radicali. Il più sensato, oggi, è la programmazione di un 2022 imperniato su tre blocchi: tra febbraio e marzo Olimpiade invernale di Pechino (il luogo continua a provocare stupore), a luglio i Giochi di Tokyo (con ritorno provvisorio alla doppia scadenza, come capitò sino al 1992) e tra novembre e dicembre Coppa del mondo di calcio in Qatar, per tracciare una rotta che non vada in collisione con il 2021, ricco di Mondiali, in primis nuoto e atletica. Proprio perché profuma di sensatezza, difficilmente verrà adottato dal CIO che si batterà per sistemare Tokyo in autunno, autunno inoltrato (quando sul Giappone cade quella pioggia sottile così ben tracciata da Hokusai), forse nelle vacanze natalizie. (foto World Athletics).

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In Italia, tra un “Andrà tutto bene”, un “Ce la faremo” e la riesumazione dell’Inno di Mameli, le cronache dell’epidemia sono contrappuntate dall’attenzione quotidiana sul taglio agli stipendi dei calciatori, sull’insistenza di alcuni presidenti che vogliono una ripresa degli allenamenti (in quale girone accoglierli o in quale reparto se Basaglia non avesse varato la sua riforma?), sulla non discreta presenza degli sponsor. Quel berretto con il nome alto tre dita, messo in primo piano da Sofia Goggia, nell’intervista mandata e rimandata in onda da Sky Sport, non era il massimo. Est modus in rebus. Traduzione: c’è un modo per fare i rebus.

 

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