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I sentieri di Cimbricus / Warholm o il sano sentimento dell'invidia

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Martedì 1 Ottobre 2019

 

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Sono felice (per lui) che non sia italiano: sarebbe assediato da una folla di rompicoglioni, di incompetenti, di superficiali, di sensali e alla lunga la sua sana pazzia andrebbe a farsi benedire.

 

Giorgio Cimbrico

Dicono che l’invidia sia un pessimo sentimento – o atteggiamento, fa lo stesso – ma non posso fare a meno di invidiare i norvegesi che hanno i fratelli Ingebrigtsen e hanno Karsten Warholm che per i triti parametri d’oggi è completamente pazzo. Chiaro: non è pazzo, ma si avvicina all’entrando a matar della corrida con l’atteggiamento che tutti vorremmo avere: urlando, massacrandosi di schiaffi, fottendosene se qualche adepto dell’ars magna et masturbatoria dei social media avrà qualcosa da ridire, qualcosa da eccepire o criticare. Warholm è così come appare e, essendo io un maledetto snob, evito di cospargere con le definizioni di guerriero, di vichingo. Uffa. Studiatene di nuove, andate a vedere chi è, dove è nato, chi lo allena. Ho provato e fra poco vi fornirò i risultati.

Smessi i panni dell’invidioso, indosso quelli del saggio che non mi sono adatti, ma provo lo stesso. Sono felice che Warholm non sia italiano perché sarebbe assediato da una folla di rompicoglioni, di incompetenti, di superficiali, di sensali e alla lunga la sua sana pazzia, simile a quella di Amleto, andrebbe a farsi benedire, si ammoscerebbe. (foto iaaf.org).

E a questo punto non resta che andar a esplorare il tipo che a 23 anni ha già messo le mani su due titoli mondiali e uno europeo, tre record continentali e una puntata sotto i 47"0. “Ma il record del mondo non l’ha fatto”, suggerisce qualcuno prima di beccarsi il contrappeso di un ostacolo sul cranio. Non sono inamidato, non sono conformista, non potrei mai parlare a un microfono e, giunto alla mia età, tutto sommato dico che va bene così. Da quando, poi, ho trovato SportOlimpico e il suo direttore la mia gioia vola frullante come i beccaccini che nelle marcite della Lombardia mio padre prendeva a fucilate. Se andava bene, se non scartavano troppo, il risotto con i carciofi veniva incoronato con un paio di volatili a porzione. E così via con la biografia di questo cavallo brado.

Bislett Games del 2013: Usain Bolt 19"79, lontanissimo settimo, 22"25, un ragazzo di 17 anni, Karsten Warholm. Weltklasse del 2019: Karsten Warholm 46"92, secondo della storia a 14 centesimi da Kevin Young, annata olimpica 1992, domando in un finale stordente Rai Benjamin che diventa il primo perdente della storia sotto i 47, 46"98, uguagliando Abderhamman Samba, assente per infortunio al vertice del Letzigrund e speranzoso di recuperare per Doha: ce la farà ma non sarà quello che speravamo. Non c’è voluto molto per definirla la più grande gara della storia: l’impeto selvaggio di Karsten, la più accorta distribuzione di Rai, il fianco a fianco sul rettilineo finale, la reazione del norvegese.

“Pazzesco e fantastico, ma non è che l’inizio”, promette il giovanotto che possiede un blocco di dati che fanno rizzare i capelli in testa: record europeo (47"37 di Stephane Diagana) migliorato, nell’arco di due mesi e mezzo, in tre occasioni per un totale di 45 centesimi, sei vittorie in altrettante discese in pista con una media di 47"32 (!), appena intaccata dal 47"42 della finale di Doha. Nel ristretto club di quelli che stanno in vetta e si dividono i dieci tempi-guida, due prestazioni per lui, due per Edwin Moses, staccato di un decimo spaccato, e per Benjamin, una per Young, Samba, Bryan Bronson e Sam Matete.


Altri dati sparsi come i sassi lasciati cadere da Pollicino: sette vittorie in Diamond League, una progressione dal 2016 di un secondo e 57 centesimi, con il “salto” più violento (72 centesimi), nell’ultima stagione, il titolo mondiale di Londra 2017 e quello europeo di Berlino 2018, l’eurocorona indoor 2019 dei 400 eguagliando in 45"05 il record, vecchio 31 anni, di Thomas Schoenlebe, un record personale sui 400 a 44"87 con un differenziale tra piani e ostacoli di 2"05 e un meeting al coperto che porta il suo nome: a 23 anni non è poco.

Karsten, 1,87x80 secondo più schede segnalatiche, viene da un borgo che nel 2000 ha avuto lo status di città: Ulsteinvik, 6200 abitanti, è nello Vestlandet, un dedalo di isole e insenature sulla gobba occidentale della Norvegia. Sette anni fa ottenne l’onore di essere scelta come la località più attraente in un paese dove la cura dell’ambiente è spinta, con assoluta naturalezza, ai livelli della massima qualità. Non lontana, appena a nordest, è Berkak, che ha dato i natali a Vebjorn Rodal, medaglia d’oro ad Atlanta nel più grande 800 della storia prima che la finale di Londra 2012 prendesse la testa in questa graduatoria di tempi e di emozioni. E’ allenato da Sven Alnes che portò Geir Moen a 10”06, al titolo europeo dei 200 a Helsinki ’94 e a quello mondiale dei 200 indoor a Barcellona ’95. Uno che ci sa fare.

Di Warholm, che nella sua trance ama correre in una corsia esterna (a Zurigo era la settima, a Doha purtroppo la quarta) è noto il passato di tuttofare: campione mondiale giovanile nell’octathlon a 17 anni e secondo nel decathlon agli Europei juniores del 2016. La conversione all’undicesima gara, i 400hs, è del 2016, sesto agli Europei di Amsterdam in 49”82.

Dotato di un’irruenza a tratti selvaggia, di quella determinazione che i finlandesi chiamano “sisu”, ha lanciato impegnative sfide a se stesso su distanze che lasciano scorie: primo e secondo nei 400hs/400 agli Europei undei 23 di due anni fa, primo e ottavo a Berlino agli Europei 2018: il 44”87 senza ostacoli si era trasformato in una forte iniezione di fiducia. In mezzo, il titolo mondiale di Londra che segna un trapasso da una lunga stagione grigia a una nuova età dell’oro di una delle gare più nobili dell’intero programma.

Tanto per ricordare, così quest’anno, da imbattuto:

47"85 Stoccolma, 30 maggio
47"33 (ER) Oslo, 13 giugno
47"12 (ER) Londra, 20 luglio
47"43 Hamar, 2 agosto
47"26 Parigi, 24 agosto
46"92 (ER) Zurigo, 29 agosto
47"42 Doha, 30 settembre.

 

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