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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

Direttore: Gianfranco Colasante  -  @ Scrivi al direttore

I sentieri di Cimbricus / Non mi piacciono, ma un po' li invidio

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Martedì 20 Febbraio 2018

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di Giorgio Cimbrico

A me i francesi non sono mai stati simpatici. Ma mica perché hanno sempre guardato gli italiani con sufficienza o con un certo livore: tutto sommato, la pugnalata alle spalle, nel giugno del ’40, l’abbiamo data noi, non loro. In compenso, ci hanno ripagato con le “marocchinate”: vedi la Ciociara e vedi anche la storia atroce, e vera, di quei mesi quando gli uomini dei tabor, comandati da compiaciuti e compiacenti ufficiali francesi, violentavano giovani e vecchie, maschi compresi.

Parlando, finalmente, di sport i francesi devono godere di assoluta ammirazione perché hanno sempre mirato in alto, al bersaglio grosso (il primo che mi viene in mente è Michel Jazy, ma la lista è molto lunga), e se a volte, anche spesso, sono usciti con le ossa rotte, hanno provato sempre e caparbiamente a rimanere nel circolo dei grandi, come bene o male è capitato nelle due ultime guerre. Noi, in questo senso, siamo stati piuttosto ondivaghi. Maledizione, appena la storia si affaccia, mi obbliga a divagazioni, digressioni, mi porta a un apparente fuori tema.

Provo a tornare ad incollarmi sui binari, come una locomotiva o come un buon saltatore con gli sci: invidio alla Francia prodotti di un approfondito e raffinato lavoro e processo tecnico. E uno è Martin Fourcade (nella foto), pirenaico, franco cacciatore del biathlon, appena diventato il più ricco collezionista di ori e di medaglie olimpiche, davanti a glorie da pantheon come gli schermidori D’Oriola e Gaudin, davanti a eroi invernali come Jean Claude Killy.

E un altro è Kevin Mayer, radici alsaziane, qualche giorno fa salito a 5,60 d’asta. Cosa volete che sia per chi ha avuto Vigneron, Houvion, Quinon, Collet, Lavillenie? Già, solo che Kevin, biondo e bello come un Manfredi, è un decathleta e andando di questo passo, dopo il titolo olimpico e mondiale, arriverà a occupare un posto nel club molto esclusivo (per il momento, due soci soltanto: Ashton Eaton e Roman Sebrle) dei 9000 punti. E allora sì che l’invidia sale e, di pari passo, la stima per un movimento sportivo, scolastico e statale, di base e piramidale, da paese socialista, anche dopo che i socialisti sono diventati dei panda. Pardon, dei pandà.

Tutto questo, mentre si avvicina il giorno, venerdì, quando a Marsiglia l’Italia del rugby andrà ad affrontare una Francia che più disastrata non si può: non vince una partita da un anno (quattro sconfitte con i Sudafrica, una con gli All Blacks, con lrIanda e Scozia, un pari fortunoso con il Giappone), in una premiere storica ha cambiato CT (Guy Noves, rilevato da Jacques Brunel, ex-allenatore egli azzurri), ha un presidente, Bernard Laporte, sotto inchiesta per affari (affaires) poco chiari, ha spedito fuori squadra otto giocatori dopo la notte brava di Edinburgo. Gli italiani, in Francia, hanno vinto una partita, ventun anni fa, a Grenoble, vendicando un’antica Mala Pasqua. In palio, al Velodrome, il trofeo Garibaldi, chiavarese nato a Nizza, quindici anni dopo che Rouget de Lisle musicò la Marsigliese. Flussi e riflussi di storia.

 

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