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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

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I sentieri di Cimbricus / Il paese che ha bisogno di miracoli

Mercoledì 16 Febbraio 2022

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L’Italia, che ha bandito da tempo la normalità, rifiuta l’esercizio più semplice e coinvolgente offerto dallo sport: guardare. E guardando trovare nessi, richiami, tessere trame, meravigliarsi per esser incorsi in una scoperta.


Giorgio Cimbrico

Stretti in un’informazione matrioska, soffocati, come Laocoonte e i figli, in un gioco di scatole cinesi sempre più piccole, viene sempre più negata – e passivamente accettata – la chance di guardare lo sport per quello che lo sport può dare: una bellezza che può nascere dal nitore di un gesto, dall’accensione di uno scontro, da un ambiente ostile che può trasformarsi in spietato e affascinante avversario.

Non molte ore fa ho vissuto emozioni per la combinata nordica in versione classica: salto dal trampolino grande e 10 km di fondo: venti sottozero, vento quasi assente (cristallizzato?), salti degni della finale per specialisti con atterraggi a 140, 142 metri. Il norvegese Ryber parte con 54” di vantaggio sul gruppetto che lo bracca, alla fine del primo giro sbaglia strada, viene ripreso, prova a tenere il passo della piccola muta che lo ha raggiunto, accusa. E’ un affare a tre? E’ la possibilità per il giapponese Watabe di conquistare finalmente un titolo importante? Sull’ultima salitina un’altra muta si fa sotto e il norvegese Graabak scappa via pattinando con frequenze micidiali. Unico a reggere, un altro norvegese, Oftebro. Gli altri, spazzati via in un turbine di aghi di ghiaccio.

Molte storie belle, o curiose. Perché, ad esempio, tutti gli ungheresi dello short track sono cinesi? Oppure: come ha fatto la Francia a diventare sovrana nel biathlon e dopo il divino Martin Fourcade pirenaico a proporre Quentin Fillon Maillet giurissiano, cinque gare e cinque medaglie, due d’oro?

L’Italia, paese di San Gennaro e di Padre Pio, ha sempre bisogno di miracoli, magari anche di stigmate. O è famelica di fatti rubricabili nello “strano ma vero” che provocano brevi attacchi di orgoglio, fremiti di rivalsa. E’ un paese che ha bandito da tempo la normalità, che rifiuta l’esercizio più semplice e coinvolgente offerto dallo sport: guardare. E guardando trovare nessi, richiami, tessere una trama, meravigliarsi – e congratularsi con se stessi – per esser incorsi in una scoperta.

E’ un percorso sempre più difficile, reso impervio da tutto quel che ci circonda, dagli spifferi malevoli, dalle menzogne, da una realtà sempre più lontana dalla realtà vera, diventata un’araba fenice. In questi giorni di Kamila Valyeva si è parlato solo per l’affaire TMZ, sigla della sostanza anti-angina rinvenuta in un esame antidoping, non per la sua grazia, non per la sua perfezione incrinata da un salto sbagliato durante il programma corto. Kamila, che ha 15 anni e dieci mesi, ha pianto.

La ragazzina di Kazan, che Degas avrebbe convinto a posare, è finita in un meccanismo che assomiglia a quello che inghiotte Charlie Chaplin in “Tempi moderni”. E il CIO, che nella sua storia ha digerito e metabolizzato ogni sorta di situazioni in un repertorio che va dal grave all’imbarazzante, sospende premiazioni, parla di competizioni sub-judice.

E così non rimane che continuare a praticare la semplice, naturale arte del voyeur. Guardare è ottenere la compagnia delle vecchie forze che il mondo d’oggi ha voluto cancellare: la bellezza, l’ardore. Il fuoco, il meraviglioso assurdo del volo di Astolfo sulla luna.

 

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