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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

Direttore: Gianfranco Colasante  -  @ Scrivi al direttore

Duribanchi / Il morbo infuria e il gas ci manca

Martedì 15 Febbraio 2022


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Troppo elementi di confusione per la nostra democrazia dell’intrattenimento. Tocca ora alle Olimpiadi di Pechino. Che sembrano una manifestazione artificiale. Tutto dentro ad una bolla. Senza pathos. Troppo lontane. Troppo orientali.

Andrea Bosco

“Morire per Kiev?” L’Europa che dalla Storia niente ha mai imparato se lo sta chiedendo con egoismo peloso. Come accadde a Danzica. La guerra sarebbe un disastro: Kiev è a due ore di volo dall’Italia. Ma anche lasciare via libera agli appetiti del despota Putin lo sarebbe. Dopo la Crimea, Putin rivendica, con la scusa della “tutela” delle minoranze russe, una fetta di Ucraina. Poi toccherebbe probabilmente alla Lituania e all’Estonia dove, egualmente, sono presenti enclave russe. L’Europa, tanto per cambiare, è divisa. Ferma l’Inghilterra, ondivaga la Francia, reticente la Germania.

Non è chiara la posizione italiana: genericamente “diplomatica”. L’Italia è un paese in vendita. Che ha svenduto imprese, asset, porti, sovranità ad arabi, americani, cinesi, russi. Per non parlare del sistematico “saccheggio” francese ai marchi nostrani del lusso. Sul fronte cinese, del resto, il governo di Pechino può contare sulla quinta colonna pentastellata. Quello russo sulla vicinanza di Salvini e su quella di un amico di vecchia data dell’ex KGB: Silvio Berlusconi. Il morbo infuria e il gas ci manca. L’Europa non ha (e mai avrà) un esercito comune. Una politica estera comune. L’Europa è stata (e di fatto è) un esperimento finanziario: attento alla moneta unica, assai meno agli uomini. Come dimostra la “non politica” sul problema migratorio.

MIGRANTI – I migranti come ha denunciato il Papa li accolgono in Italia e in Spagna. Meno che in passato in Grecia. Non li vuole Malta. Non li vuole la Francia. Non li vuole la Germania. Non li vogliono i paesi sovranisti dell’Europa orientale, non li vogliono i democratici paesi del nord del continente. Non c’è barba di integrazione che tenga. Alla seconda generazione i figli degli immigrati non hanno più percezione della vita vissuta, nelle terre d’origine, dai genitori. Sono cittadini dei paesi che quei genitori hanno accolto. E vogliono tutto e subito. Come sempre è capitato alla gioventù, in ogni epoca della storia. Se non riescono ad ottenerlo, se lo prendono: con brutalità. Non è una questione di sola immigrazione. Accade allo stesso modo nelle periferie del Sud e del Nord dove per “scalare” rapidamente i gradini del benessere, i giovani si affidano ad associazioni malavitose. Le camorre, le n’dranghete, le mafie nostrane, replicate da cinesi, russi, centroafricani, magrebini, albanesi, rumeni, ceceni, moldavi.

Quello che sta vivendo Milano in alcune zone della città è vissuto (da decenni, ormai) dalle periferie delle maggiori città francesi. E’ vissuto in Belgio e in Olanda. E con stupore (violenza allo storico modello di stato sociale), a Stoccolma. Ha scritto recentemente Ferruccio De Bortoli che in un paese “vecchio” dalla natalità in flessione, gli immigrati “servono”. Ed è la pura verità. Ma in tre anni gli arrivi si sono decuplicati. E la percezione è che buona parte dei reati cosiddetti “minori” siano da attribuire ad immigrati. Il problema non è quello di far arrivare (magari con adeguati corridoi umanitari, legalmente) gli immigrati. Il problema è come integrarli. Che tipo di lavoro offrire. Quali soluzioni abitative. Quale tipo di educazione e di sanità. Come obbligarli a superare patriarcali pregiudizi e ancestrali violenze. Come costringerli a rispettare le leggi italiane. Leggi che in pochi ormai rispettano. Qui, peraltro, il vaso di Pandora è scoperchiato.

GIUSTIZIA – Lorsignori si stanno preoccupando delle “porte girevoli”, discutendo di riforma della giustizia. Delle carriere dei magistrati, delle “correnti”, delle soperchierie di certa magistratura verso la politica. Ma nessuno si è indignato, nessuno ha “urlato” per l’assenza nella legge Cartabia di adeguate e severe pene per i magistrati che sbagliano. In Italia la magistratura è “legibus soluta”. Cane non mangia cane. E non si ha memoria di un magistrato che abbia mai condannato un altro magistrato. Anzi: come nel drammatico caso di Enzo Tortora chi ingiustamente lo accusò, spedendolo in carcere, fece carriera. La giustizia italiana è una macchina ingiusta. Che protegge all’ombra di un codice ossessivamente garantista. Ma spesso abbandona le vittime. Non immuni da responsabilità risultano i media.

Fa impressione leggere la “confessione” di Goffredo Buccini sul settimanale 7. Giovane cronista giudiziario ai tempi di Tangentopoli, Buccini scrive: “Siamo decisi a salvare il mondo per via giornalistica. Poiché l’inchiesta sembra regalarci proprio la verità che abbiamo in testa, quasi nessuno di noi sente il bisogno di guardarla anche da qualche altra angolazione: il bene di qua, il male di là. E’ manicheismo giovanile … Così, un po’ tradiamo i lettori o, almeno, impediamo alla parte più moderata di essi di avere un punto di vista completo, distante dalle fazioni che si vanno delineando. Neppure sui suicidi, che iniziano quell’estate, ci soffermiamo a riflettere”.

E’ una storia che si ripete ad ogni rivoluzione. Quando al potere arrivano i sanculotti, la pietas, al pari del buon senso, finisce nella cesta che raccoglie le teste. Ti accorgi solo “dopo” che i tiranni sono tiranni sempre: qualsiasi uniforme indossino. Qualcuno neppure “dopo” riesce a svegliarsi dal sonno procurato dagli oppiacei ideologici. Tomaso Montanari è uno storico d’arte, rettore in una università statale. Negazionista delle foibe, il professor Montanari ha trovato il suo palcoscenico nel salotto di Lilli Gruber. Montanari che gronda certezze non ha mai avuto un parente istriano vittima della violenza titina. Ma probabilmente, neppure questo, sarebbe bastato.

I tipi come Montanari sono come il giovane cronista Buccini. Hanno tesi predefinite. Non gli interessa appurare la verità. Sono “terrapiattisti”: sempre alla ricerca di un “complotto” interspaziale.

Il vice-direttore “ad personam” Ranucci, dominus di Report è finito nel tritacarne delle polemiche per una storia di dossieraggio e files. Per tutti vale la presunzione di innocenza e figuriamoci se non debba valere per un collega che maneggia inchieste scomode. Ma avrà mai visto, Ranucci, come lavoravano i maestri Biagi e Zavoli? Nessuna “predica”: solo i fatti. Separati dalle opinioni, come recitava un noto settimanale negli anni Settanta.

SPORT E DINTORNI – Stai a guardare le Olimpiadi di Pechino. Che sembrano una manifestazione artificiale. Tutto dentro ad una bolla. Senza pathos. Troppo lontane. Troppo orientali. Forse troppo affrettate stante le polemiche emerse sulla pista del Super-G: lenta e “semplice”. Ennesimo scandalo doping targato Russia. Sembra che proprio non riescano a farne a meno.

Calcio nostrano nella bufera: FIGC contro Lega. Lotitiani contro graviniani. Ora potrebbero “bruciare” il candidato alla presidenza della Lega, signor presidente di Confidustria: che molti club pretenderebbero confinato nel ruolo di passacarte. Arbitri imbarazzanti, schiavi di una VAR barbara: assurda ed ingiusta. Siamo arrivati (Torino-Venezia) ad una gara durata 113 minuti. Visto un rigore assegnato in Lazio-Bologna da “processo di Kafka”: roba mai vista prima. Roba che gli annali non contemplavano.

Basket a volo radente: un “tappo” di un 1.75 ha fatto a fette una Reyer priva di colleones e con un comandante che non riesce più a governare la nave. Vista una sorprendente Varese. Vista Milano, allenarsi contro Pesaro. Vista una Brescia con qualche cosa di sconosciuto nel basket nostrano. Qualcuno la chiama “programmazione”.

Reputo Aldo Cazzullo il più brillante giornalista italiano. Non mi perdo un suo articolo. Ci fosse stato qualche dubbio sulla sua qualità, la sua intervista a Conte (quello vero, quello che recita poesie sulle note, quello che ha messo il testo di “Azzurro” nella bara della madre) lo ha fugato: capolavoro. Ma la sua risposta alla lettrice Antonia Conforto (Corriere della Sera, 13 febbraio 2022) sul tema “cattiveria in campo” per quanto sensata mi ha fatto arrabbiare. Quella lettera Cazzullo proprio non avrebbe dovuto pubblicarla. Perché (testuale) scrive la lettrice parlando di Mc Enroe: “Non perché tacciasse di cattiveria (suppongo in campo) questo tennista che non ricordo ... eccetera”. Una che non “ricorda” SuperMac si è persa la vita. E’ come ammettere di non conoscere le poesie di Prevert, la musica di Lenon, i romanzi di Hemingway, i dribbling di Garrincha, la “Zuppa” di Andy Wharoll, i canestri di Jordan, la “filosofia” di Snoopy.

Non rammentare McEnroe è essersi privati di un tennis “futurista” fatto di tocchi diabolici ed irriverenti. E di show mai visti prima, fuori dal campo. Aldo Cazzullo avrebbe dovuto consigliare alla signora Antonia di istruirsi. Non “ricordare McEnroe” non è solo una colpa. Uno come lui, non c’era mai stato prima di lui. E quasi certamente non ci sarà in futuro. Perché in tanti hanno giocato un buon tennis. Un tennis bello da vedere. Un tennis vincente. Ma nessuno ha mai giocato il tennis di John McEnroe. Perché di uno così, dopo averlo “ fatto “, probabilmente hanno buttato lo stampo . Signora Conforto : lei è in nomination.

 

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