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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

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Sabato 12 Febbraio 2022

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Storie e miti. Le tre epoche d’oro del discesismo azzurro: a vent’anni una dall’altra le grandi imprese olimpiche di Zeno Colò nel 1952 ad Oslo, di Gustavo Thoeni nel 1972 a Sapporo, di Alberto Tomba nel 1992 ad Albertville. E tra pochi giorni ...


Gianluca Barca

Sono trascorsi settant’anni da quando Zeno Colò, il 16 febbraio del 1952, vinse a Oslo, in discesa libera, la prima medaglia d’oro olimpica nello sci alpino per l’Italia. Con una prova mozzafiato batté gli austriaci Schneider e Pravda. Era uno sci d’altri tempi: “buttavo il mozzicone e partivo” ricorderà più avanti il discesista toscano, un vizio che a 67 anni gli procurerà la diagnosi di un tumore al polmone, causa della morte avvenuta nel 1993 all’Ospedale di San Marcello Pistoiese. In precedenza, grandi amarezze gli aveva procurato la squalifica per “professionismo” comminatagli dalla Federazione internazionale nel 1954.

La Nordica e la Colmar, in cambio di un compenso intorno ai tre milioni di lire, avevano commercializzato scarponi e giacche a vento firmate con il suo nome. Per quella stessa ragione non poté partecipare alle Olimpiadi di Cortina, le prime disputate in Italia: fu un eccesso di zelo da parte dell’Italia che si era candidata ad organizzare i Giochi di Roma del 1960 e voleva proporsi al CIO con un curriculum virginale.

Dopo Colò venne Gustav Thoeni, che aveva 18 anni quando l’11 dicembre 1969, all’esordio in Coppa del Mondo, vinse a Val d’Isere la sua prima grande gara. Segnatevi la data perché non è banale.

Dopo i Giochi di Cortina (1956) lo sci piano piano ha cominciato a diventare un passatempo di massa in Italia. Prima, a praticarlo erano solo i pionieri, intrepidi appassionati che si avventuravano sui pendii coperti di neve, spesso risalendoli a piedi. Zeno Colò, figlio di un boscaiolo, era stato insieme ad altri abetonesi, Vittorio Chierroni, Celina Seghi, poi Paride Milianti, l’interprete più prestigioso di quella era.

Gli anni Sessanta popolano le montagne di impianti di risalita, i paesi alpini cominciano a veder sorgere le seconde case: è l’Italia che si affaccia al benessere, scopre le vacanze, le gite del fine settimana. La neve diventa un mezzo di divertimento non più soltanto un episodio della stagione invernale.

Nel 1966, un gardenese, Carlo Senoner ha vinto lo slalom speciale ai campionati del mondo di Portillo, in Cile. Ma è un’edizione della competizione anomala: per portare lo sci nell’emisfero sud le gare si disputano nel mese di agosto, con gli italiani al mare. Non c’è neppure la televisione che all’epoca riserva le trasmissioni via satellite a pochissimi grandi eventi di richiamo internazionale. Insomma l’eco della vittoria di Senoner rimane circoscritta agli appassionati e agli addetti ai lavori. A Selva di Val Gardena, Senoner costruirà un albergo che chiamerà “Portillo”, a perenne ricordo di quell’impresa sportiva.

Thoeni nell’inverno 1969 ha vinto tutti e tre i titoli in palio ai campionati italiani juniores. Un’impresa che prima di lui, nel 1955, era riuscita solo a un altro atleta, Alberto Quadrio Curzio, futuro economista e presidente dell’Accademia dei Lincei. Anzi, per alcuni tecnici, proprio Quadrio Curzio avrebbe introdotto nella tecnica dello sci innovazioni poi affinate da Thoeni.

Dunque Thoeni si aggiudica la sua prima gara di Coppa del Mondo (ne vincerà altre 23) l’11 dicembre 1969: è la vigilia della strage di Piazza Fontana, il giorno che chiude di fatto l’epoca del boom economico e apre quella tormentata della strategia della tensione.

Le prove generali di quell’avventura reazionaria, sono state fatte, sfruttando l’irredentismo sud tirolese, proprio in Alto Adige a pochi chilometri da dove è nato Thoeni. L’11 giugno del 1961, trentasette attentati sconvolgono la provincia di Bolzano, suscitando una reazione feroce da parte di Roma. Nei primi anni Sessanta, in Alto Adige si fa ancora fatica a parlare italiano e spesso i turisti si sentono rispondere in tedesco se chiedono una camera o ordinano un aperitivo al bar. I terroristi del Fronte di liberazione del Sud Tirolo vengono dalla Val Pusteria, dalla Val Venosta, dalla Val Passiria, Thoeni abita ed è cresciuto da quelle parti.

Lo sci però cambia in breve tempo la percezione che gli italiani hanno di quei luoghi e soprattutto quella che gli altoatesini hanno dell’Italia. Con skilift e seggiovie i pendii ripidi e difficili da coltivare diventano piste da discesa, le stalle e i fienili si trasformano in “gasthof” e mettono sulla facciata la scritta “zimmer”, camere.

Piano piano, alle bombe sotto i tralicci si sostituiscono gli impianti di risalita e i rifugi diventano ristoranti e tavole calde. Al culmine di questo processo sociale ed economico, l’Alto Adige trova in Thoeni il suo ambasciatore ideale.

Il nome non è facilissimo per tutti da pronunciare, la doppia grafia – Thöni sui giornali nazionali è stato italianizzato in Thoeni –, il fatto che parla poco e si fida poco dell’italiano non gli impediscono di diventare in breve tempo molto popolare. I suoi silenzi e le sue frasi smozzicate sono proverbiali, però vince e il suo volto comincia a essere familiare anche per chi non frequenta gli ambienti dello sport invernale.

A febbraio del 1970 la Val Gardena ospita i campionati del Mondo di sci alpino, Thoeni che dopo il successo di Val d’Isere nel mese di gennaio ha vinto anche a Hindelang, due volte a Madonna di Campiglio ed è arrivato secondo a Kitzbuhel, vi approda come uno dei favoriti nelle prove tecniche.


Cade purtroppo in gigante e si piazza quarto in slalom, dietro a due francesi e a un americano. Ma la valanga è ormai innescata, anzi nel giro di pochi mesi diventerà addirittura “valanga azzurra”, con Gros, De Chiesa, Radici, Stricker e tanti altri a fianco di Gustavo.


Il processo di affermazione dello sci è tecnico, mediatico e industriale: a giugno del 1968, la FISI, al consiglio di Cesenatico, ha nominato responsabile delle squadre nazionali Jean Vuarnet, francese, campione olimpico di discesa libera nel 1960 alle Olimpiadi di Squaw Valley. E Vuarnet, uomo di marketing e visionario, il cui ingaggio è di 12 milioni di lire all’anno, ha creato il “pool del settore sci alpino”, un’organizzazione triangolare – industria, federazione, atleti – che ha lo scopo di assicurare assistenza tecnica e proventi agli atleti e visibilità ai marchi che forniscono loro gli attrezzi e l’abbigliamento di gara.


Forte dei successi di Thoeni e di questa innovativa spinta commerciale lo sci diventa in breve uno degli sport più popolari in Italia.


Nel 1966, durante i Mondiali di Portillo, un giornalista francese, Serge Lang, aveva inventato la Coppa del Mondo, mettendo in un circuito unico i concorsi tradizionali che animavano la stagione alpina, il Kandahar, l’Hahnenkamm, il Lauberhorn. La Coppa del Mondo significa la vendita collettiva dei diritti televisivi delle gare, significa migliore copertura ed esposizione mediatica per lo sci internazionale. Il prodotto decolla.


Anche se in Italia, i primi tempi, per vedere in diretta le gare di Thoeni, gli appassionati si devono sintonizzare sulla Televisione della Svizzera italiana. La RAI, mai rapida nel cogliere i cambiamenti, impiega un po’ a capire che quello sciatore altoatesino fa il pieno di ascolti e raccoglie popolarità in ogni dove.


È il boom dello sci: gli atleti indossano tute accattivanti e colorate e calzano sci che per la prima volta portano la marca impressa sulla spatola a caratteri cubitali. La moda si sposa con l’inverno. È il marketing della neve
Il Paese intanto fa i conti con il terrorismo, scoppiano le bombe nelle piazze e sui treni. Ma le località sciistiche offrono un’evasione dal clima cupo delle città. I negozi di articoli sportivi si riempiono di poster dei nuovi campioni della discesa e dello slalom. Nel 1973 ci si metterà anche l’austerity, una ragione in più per sedersi la domenica davanti alla televisione e sognare paesaggi invernali.

Gustavo diventa suo malgrado un personaggio. Non ha l’appeal di un Killy, il francese che alle Olimpiadi di Grenoble ha vinto tre medaglie d’oro, ma il suo nome diventa famoso da Bolzano fino a Bari. Le industrie colgono l’occasione: i berretti di lana degli sciatori azzurri portano ricamata sulla parte frontale una vistosa saetta con i colori della bandiera italiana, le divise di gara sono arricchite di strisce bianche, rosse e verdi. L’abbigliamento contribuisce alla pace tra il Tirolo e l’Italia. Mai visti da quelle parti tanti simboli tricolori.


Quando nel 1974 ai mondiali di Saint Moritz Thoeni vince due medaglie d’oro, lo slalom con una rimonta epocale dall’ottavo al primo posto, la Domenica Sportiva gli dedica una famosa copertina che lo immortala fra i pali con la colonna sonora di “Giù la testa” di Ennio Moricone.


Nel 1972 alle Olimpiadi di Sapporo in Giappone, Gustavo aveva vinto l’oro in gigante, a vent’ anni di distanza da quello di Colò a Oslo. Terzo dopo la prima manche, dietro al norvegese Erik Haker a al tedesco Alfred Hagn, Thoeni nella seconda prova fa registrare il secondo tempo, staccato di 11/100 dello svizzero Edmund Bruggman che aveva chiuso il primo percorso a più di un secondo dall’azzurro. Haker, primo a scendere nella seconda manche, non regge alla tensione e cade dopo poche porte, Hagn che aveva un vantaggio su Thoeni di 41/100 è troppo cauto nella difesa di quel margine e finisce per concludere la gara al quarto posto. Bruggman conquista la medaglia d’argento e un altro svizzero, Werner Mattle, quella di bronzo. La freddezza apparente dell’azzurro, la sua capacità di concentrazione, suscitano ritratti quasi lombrosiani: i sud tirolesi, a differenza dei loro connazionali mediterranei, non conoscono emozioni.


Quattro giorni dopo il gigante, Gustavo si classifica secondo in slalom dietro allo spagnolo Ochoa, terzo un altro Thoeni, Rolando, staccato dal cugino di soli due centesimi di secondo.


La popolarità massima però Thoeni la raggiunge a marzo del 1975 in Valgardena: alla gara finale della Coppa del Mondo, uno slalom parallelo, arrivano in tre a pari punti, Thoeni, lo svedese Ingemar Stenmark e l’austriaco Franz Klammer. Il “triello” tiene incollati per ore al video milioni di telespettatori. In finale l’azzurro batte l’avversario svedese e si aggiudica per la quarta volta la Coppa del Mondo generale. Per lo sci italiano è un successo di pubblico e popolarità senza precedenti.


Pochi mesi prima, a gennaio, Thoeni aveva realizzato un capolavoro di tecnica, mancando per 4/1000 di secondo il successo in discesa libera a Kitzbuhel, battuto proprio da “Kaiser” Franz sulla pista che celebra il mito della velocità per gli sciatori.


Ci sarà ancora tempo per la medaglia d’argento in slalom, alle Olimpiadi di Innsbruck del 1976, dietro un altro azzurro, Piero Gros.


L’ultima gara di Coppa del Mondo, Gustav la disputerà a Saalbach, dieci anni dopo il suo esordio, a marzo del 1980, piazzandosi quindicesimo. Nel frattempo è cambiato lo sci è cambiata l’Italia.


Da allenatore Thoeni sarà poi al fianco di Alberto Tomba, quando il bolognese porterà lo sci azzurro a una seconda epoca d’oro: uno sport diventato nel frattempo più mediatico, più popolare e pure un po’ più sbracato, con la diretta della seconda manche delle Olimpiadi di Calgary, nel 1988, nel bel mezzo del Festival di Sanremo.


L’Italia non è più quella del 1969, quando Gustav si affacciò 19.enne al cancelletto di partenza di Val d’Isere: siamo alla viglia del terzo millennio. L’Italia si vuole scrollare di dosso il passato, Berlusconi sta rivoluzionando la politica, dopo aver cambiato la televisione. I silenzi di Thoeni fanno da contraltare alle battute sempre un po’ smaccate di Tomba. La medaglia d’oro del bolognese in slalom gigante, ai Giochi di Albertville, il 18 febbraio del 1992, chiude idealmente quarant’anni di trionfi olimpici sull’asse Abetone -Trafoi-Bologna: lo sci di ieri, di oggi e di domani. Alla fine di febbraio Gustavo Thoeni compirà settantun anni. Sapporo è lontana ormai mezzo secolo, nello sport un’altra era.
 

 

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