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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

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I sentieri di Cimbricus / Elegia per uno sport ecumenico

Mercoledì 9 Febbraio 2022

 

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Per quelli che stiamo vedendo in questi giorni cinesi, non è il caso di parlare di ecumenicità per una piccola serie di banali motivi: le condizioni climatiche, i luoghi di gara, gli impianti che costano troppo denaro.

Giorgio Cimbrico

Domanda che prende il via dalla vittoria italiana nel curling: esiste uno sport ecumenico, universale? A dar retta a Omero e a Pindaro c’è ed è l’atletica. Ai vecchi tempi vincevano i greci, i greci dell’Asia Minore, i greci con sigla MG, Magna Grecia: i persiani non erano ammessi, i barbari nemmeno. In quelli nuovi, un secolo e un quarto a questa parte, sul podio olimpico un islandese, un filippino, un ceylonese, un lussemburghese, un haitiano, due ugandesi, alcuni messicani, una siriana, due dominicani, sovietici che spaziavano dal Baltico al Caucaso, dall’Ucraina alla Siberia.

Se traslochiamo nei Mondiali, il podio del triplo di Göteborg ’95 è un magnifico esempio: primo un britannico, secondo un atleta di Bermuda, terzo uno della piccolissima Dominica da non confondere con la Dominicana di cui sopra. Negli ultimi dieci anni due titoli olimpici di giavellotto sono andati a Trinidad e Tobago e all’India, uno mondiale al Kenya. Uno dei più forti triplisti al mondo è di Burkina Faso, che una volta, al tempo dell’Impero coloniale francese, si chiamava Alto Volta.

E Kim Collins, nato in un’isola sotto i 100.000 abitanti, St Kitts, è stato campione mondiale dei 100. L’atletica è universale, si è sempre detto, ed era uno dei vanti di Primo Nebiolo che governava su domini più vasti di quelli di Carlo V. Tra non molto saranno 100 anni dalla nascita del Vecchio e qualcosa sarà bene organizzare.

Un antico gigante refrattario alla rasatura, sino ad esibire una barba degna di un profeta biblico, Wiliiam Gilbert Grace, per tutti WG, suggerisce per il cricket, oltre che trascorsi che scendono sino al tempo della Guerra dei Cent’anni, una certa universalità di tipo imperiale: i grandi test coinvolgono la virtuale attenzione di un pubblico superiore ai due miliardi di individui che popolano la terra. E’ sufficiente sommare gli abitanti di India, Pakistan, Bangla Desh e Sri Lanka e aggiungere, per arrotondare, Inghilterra, Sudafrica, Australia, Nuova Zelanda, tutta la miriade di isole del Caribe, dalle Bahamas a Trinidad, Giamaica compresa e, curiosamente, Corfù, dove il cricket rimane ultima testimonianza del breve periodo di occupazione britannica delle Isole Ionie.

Numeri alla mano l’area è molto più vasta e popolata di uno degli altri “doni” sportivi di Britannia, il rugby che – leopardo o gattopardo – offre macchie grandi e meno grandi saltabeccando sul planisfero: molta Europa, specie occidentale (e due “isole” a oriente, Romania e Georgia), Argentina, Africa australe, Giappone, Oceania. E il Brasile? E la Germania? E i giganti USA e Russia?

Sbattendo le ali sulla storia in un rapido volo, l’unico altro sport che può vantare uno sterminato stato di servizio e un acceso grado di universalità è il tennis. Scorrere gli albi d’oro degli Slam e della trapassata Coppa Davis fornisce un quadro esemplare e il senso di un allargamento che si è trasformato in mutazione: da sport anglofono, con diversi accenti transoceanici e antipodali, a un progressivo spostamento su un asse europeo, che investe ormai tutto il continente, dalla Spagna agli Urali, con qualche intromissione sudamericana.

Per gli sport che stiamo vedendo in questi giorni cinesi, non è il caso di parlare di ecumenicità per una piccola serie di banali motivi: le condizioni climatiche, i luoghi di gara e gli impianti che costano molto denaro. Non c’è dubbio, comunque, che quel mondo si sia allargato grazie alle piste strette dello short track, con l’avvento di esercizi più o meno spettacolari o circensi, con l’arrivo in scena di novità, specie legate a isolati fuoriclasse. Solo vent’anni fa qualcuno avrebbe scommesso su una slovacca campionessa olimpica di slalom?

Nell’analisi non è entrato il calcio che, come è noto, non è uno sport ma un gioco. In questo momento la classifica mondiale FIFA allinea 210 paesi, tutti. San Marino tiene salda questa posizione, preceduto da Anguilla.  

PS 1 - Ho provato disgusto quando ho sentito uno dei “talent” (sic!) di Eurosport esultare all’eliminazione di una britannica: “Questa è un’ottima notizia per noi”. La nemesi, che ha buon udito, subito dopo ha colpito Michela Moioli. L’atteggiamento dei telecronisti e dei loro assistenti (a parte lo sci alpino e le specialità che mettono in scena la competenze e lo stile severo di Max Ambesi) è improntata a un vuoto sciovinismo. Inutile spendere altre parole.

PS 2 - I pattinatori ungheresi dello short track sono cinesi, l’americano destinato al successo nell’individuale dell’artistico (mi ostino a chiamarlo così) si chiama Chen, la bella freestyler californiana Gu ha vinto l’oro per la Cina, sabato in terza linea per l’Inghilterra giocava Ludlam, padre palestinese e mamma della Guyana. Aveva ragione Einstein: c’è solo una razza, quella umana. La speranza è che il vecchio Albert non avesse ragione anche sui conflitti futuri: “La terza guerra mondiale non so, ma la quarta verrà combattuta con le pietre”.  

 

 

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