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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

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I sentieri di Cimbricus / Questa magnifica Kamila, perfezione tatara

Martedì 8 Febbraio 2022


kamila-valieva


Ne parleremo a lungo, non solo per il primo quadruplo con cui ha aperto e firmato un’era: esile giungo di una tradizione antica, sospesa tra tecnica stupenda e fantasia artistica, ha riproposto la forza rivoluzionaria della classicità.

Giorgio Cimbrico

Ci siamo giocati Pechino. Ora bisogna dire Beijing. E allora perché continuare con Londra, Parigi, Berlino, etc? O magari scrivendo giusto Copenhagen? Bene, vediamo di andare su temi più concreti e soprattutto proviamo a battere i sentieri della bellezza, sempre più impervi in questo Bruttiful che avvolge e soffoca, a meno di essersi adattati.

Da qualche ora ho il violento desiderio di parlare soltanto di Kamila Valerevna Valieva, ma non perché è stata la prima a fare un quadruplo, l’aspetto su cui tutti si sono gettati a corpo morto. Kamila, che deve ancora arrivare ai 16 anni, è nata su quell’incerto confine che divide l’Europa dall’Asia: tatara di Kazan, porta sul volto i segni di due mondi che si sfiorano. Uno vede Kamila e pensa agli zigomi alti e agli occhi “tagliati” lunghi di Rudolf Nureyev, nato per caso in Siberia, su un vagone ferroviario alla fermata di Irkutsk, da genitori tatari e bashkiri.

A costo di ricorrere a immagini e a parole che rientrano nella banalità di quella sub-letteratura che è spesso il giornalismo, Kamila è un giunco, è lo stelo elastico su cui fiorisce brevemente la ginestra, è l’ennesima creatura di una tradizione sospesa tra la tecnica, sempre alla ricerca di un difficile perfezione, e la coté artistica, coreografica di un paese che ha offerto al mondo la classicità delle scuole del Bolshoi e del Kirov e la forza rivoluzionaria (scandalosa, secondo certi giudizi borghesi formulati un secolo fa) dei Ballets Russes di Diaghilev.

Incompetente, ma fedele spettatore del pattinaggio artistico – oggi definito di figura – sin dalla prima adolescenza, ho costruito con il passare del tempo mie teorie che l’apparizione di Kamila ha costretto a riesumare con un certo piacere. Dopo esser stato costretto ad annotare vittorie di altri paesi, ad assistere alla vicenda Tonya Harding-Nancy Kerrigan (oggi, con i social media imperanti e dominanti, quanta sarebbe stata alta e inquinante l’onda?), a provare a rassegnarmi alla scomparsa di un mondo di magnifiche allieve e di severe maestre, rivedo il passato e brindo al presente con Kamila: la sua esile, acerba figura che sarebbe piaciuta all’entomologo Nabokov, la ricerca di un assoluto intrapresa al fianco di Eteri Tutberidze, l’allenatrice che assomma in sé altre linee di sangue, questa volta caucasiche: padre georgiano, madre armena.      

Dopo aver dato una robusta mano alla vittoria del ROC (il comitato olimpico russo, così massicciamente presente in Cina da ritenere un’ipocrisia l’esclusione della Russia come paese) nella gara a squadre, durante la quale ha mostrato i suoi prodigi, i suoi assalti agli obblighi della gravità, Kamila diventerà la piccola regina della seconda settimana dei Giochi. Per fortuna è finito il tempo di allettanti “riviste” sul ghiaccio e così ci saranno tempo e occasioni per vederla a lungo, con la speranza che cambi musica: quel Bolero di Ravel ha rotto le scatole. Una toccata, una fantasia di Bach la proietterebbe in una dimensione di siderale bellezza.    

 

 

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