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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

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I sentieri di Cimbricus / La principessa che si fece regina

Sabato 5 Febbraio 2022

 

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Di questi giorni 70 anni fa, alla morte di Giorgio VI, la giovane Elisabetta – da regina – ne ereditò l’impero e si impose di lavorare per la felicità e la prosperità dei suoi popoli sparsi in tutto il mondo. E, nello sport, …

Giorgio Cimbrico

Treetops, a un centinaio di miglia da Nairobi, Kenya. La targa piantata sul grande tronco racconta che “qui una donna salì principessa e discese regina”: le parole che vennero incise si devono a un “cacciatore bianco”, Jim Corbett. La singolarità di Treetops è dovuta a quelle casette sistemate tra rami possenti: quando, il 5 febbraio 1952, Elisabeth era arrivata, aveva trovato quella radura popolata da un branco di elefanti: c’era uno stagno e un leek, dove gli animali, specie le antilopi, vanno a leccare il sale. Elisabeth fotografò e filmò.

Il giorno dopo si sposta di una ventina di miglia, a Sagana, una fattoria dono di nozze, nel novembre del ’47, del governatore del Kenya, prima tappa del secondo viaggio transoceanico di Elisabeth e Philip: l’anno prima, visita in Canada e negli Stati Uniti e incontro alla Casa Bianca con Harry Truman. Ora, un’escursione a più vasto raggio: le mete finali sono i dominion di Australia e Nuova Zelanda. Elisabeth e Philip sono i principeschi “supplenti”: la salute del re sta rapidamente declinando,

Il 31 gennaio Giorgio VI accompagna la figlia e il genero alla partenza, all’aeroporto di Croydon: il volto, che prova a stirarsi in un sorriso, ha disegnate le ombre della morte. Decide di andare a Sandrigham, nella tenuta reale nella campagna del Norfolk. La parola d’ordine, il codice per annunciare la sua scomparsa è “Hyde Park Corner”. Viene pronunciato nella notte tra il 5 e il 6 febbraio dal segretario privato che informa chi ricopre la stessa carica a Buckingham Palace. Tocca a lui informare la regina Elisabeth Mary e il primo ministro, che dall’ottobre del ’51 è ancora e di nuovo Winston Churchill.

A 56 anni il re è spirato nel sonno per una trombosi: dall’abdicazione di Edoardo VIII aveva regnato poco più di quindici anni, sei di guerra, una dimensione che gli era abituale sin dalla giovinezza: da guardiamarina aveva servito nella battaglia dello Jutland, lo scontro più enigmatico del primo conflitto mondiale.

Non è mai stato chiarito se un atto di accesso al trono avesse già viaggiato con Elisabeth e Philip durante il loro viaggio nordamericano. Era sicuramente negli incartamenti che Martin Charteris, segretario privato di Elisabeth, portò con sé per il royal tour nell’altro emisfero: il cancro – e le complicazioni legate – stava divorando il sovrano,

Da Londra la notizia della morte venne comunicata a un corriere reale a Nairobi che, dando inizio a un’altra formale trafila, informò Philip: toccò a lui dire a Elisabeth quel che era avvenuto ormai una quindicina d’ore prima a Sandrigham. Alcune fonti, che vogliono sottolineare la sua fermezza e l’importanza del “decoro”, sostengono che prima cura di Elisabeth sia stata scrivere lettere ai governatori di Australia e Nuova Zelanda in cui si doleva comunicare che il viaggio doveva essere interrotto. “Non ci furono lacrime” testimonia Charteris. “Pianse più tardi, in privato”, scrive Sarah Bradford, storica e biografa. “Erano molto uniti, lei lo adorava”.

Due giorni dopo, l’8 febbraio, al Palazzo di St James, davanti ai Lord e ai rappresentanti dei paesi del Commonwealth, Elisabeth si proclamò Regina, Capo del Commonwealth e Difensore della Fede: “Per l’improvvisa morte di mio padre sono chiamata ai doveri e alle responsabilità che spettano a un sovrano. Oggi il mio cuore è troppo oppresso. Posso solo dire che lavorerò, come fece mio padre per tutto il suo regno, per la prosperità e la felicità dei miei popoli, sparsi in tutto il mondo”. L’udienza durò venti minuti.

Il funerale del padre venne ripreso dalla televisione, non il servizio funebre trasmesso soltanto alla radio. “La televisione è uno dei grandi pericoli del mondo”, aveva avvertito l’Aricivescovo di Canterbury. Poco più di un anno dopo, il 2 giugno 1953, le telecamere vennero ammesse nell’Abbazia di Westminster per l’Incoronazione, il primo evento che ebbe una platea globale.

Tutto questo settant’anni fa. Da allora è stato liquidato un Impero che colorava i vecchi atlanti, ad ogni angolo, di un rosa carico, sei papi si sono succeduti sul Soglio di Pietro, dodici presidenti hanno sbrigato il loro lavoro nello studio ovale della Casa Bianca, l’URSS si è liquefatta e con essa una lunga storia di lotte e tradimenti sull’asse Londra-Mosca, il mondo ha celebrato 18 edizioni dei Giochi Olimpici (e un paio sono state inaugurate proprio da Lei), i protagonisti della storia di quello che uno storico inglese ha definito il “secolo breve” sono uno a uno spariti, rapiti dall’impalpabile e implacabile elemento che governa la vita, il tempo. Se n’è andato anche Philip, che, cadetto a Dartmouth, la vide per la prima volta, dodicenne, durante una visita della famiglia reale all’accademia navale nel ’38 e fu al suo fianco, anniversario dopo anniversario, per 73 anni. Apparsa per la prima volta, riccioluta, su un francobollo di Terranova del 1932, Elisabeth resiste.

Appendice. La Regina e lo Sport

Sovrana dei popoli più sportivi della terra – a livello di creazione e partecipazione –, la Regina non ha mai avuto molto a che fare con quella dimensione, se si fa eccezione per il galoppo, amatissimo e seguito sin dal momento del breakfast, quando una delle prime testate consultate era Sporting: fitte colonne di appuntamenti, condizioni della pista, quote.

Una volta Frankie Dettori mi raccontò che, la sera del suo addio al celibato, a Newmarket, località così equina da ricordare una delle dimensioni in cui sbarca Gulliver, venne intercettato da strani personaggi in abito scuro: erano agenti segreti dell’MI5 spediti per portare gli auguri autografi di Sua Maestà al suo jockey preferito. Oltre a quegli orribili cagnetti, i coorgies, ha sempre amato i cavalli e sino a quando se l’è sentita, ha sfilato in groppa, e in divisa da colonnello, in quel bel giorno di primavera in cui i reggimenti della Guardia le rendono onore. L’occasione si chiama Trooping the Colour.

Simile partecipazione emotiva non ha mai offerto per altre discipline. Era in tribuna (non avrebbe potuto non esservi) il 30 luglio 1966 a Wembley quando l’Inghilterra, con il gol fantasma di Geoff Hurst, conquistò la Coppa Rimet: gli inventori diventavano campioni del mondo. In “robe manteaux” giallo tuorlo, dispensò le medaglie ai Ramsey’s Boys con un viso equilibratamente lieto. Di calcio aveva sentito parlare vagamente dall’immarcescibile ed eterna mamma Elisabeth Mary, indicata dai tabloid come tifosa dell’Arsenal. Qualche anno fa il Sun azzardò che anche il cuore di Elisabetta battesse per i Gunners. Lo “scoop” nacque da una confessione di Cesc Fabregas durante una visita a Buckingham Palace. Sull’attendibilità, omissis.

A Wimbledon è andata nel ’77 per il centenario dei Championships (portò bene perché vinse Virginia Wade detta Ginny, ultima britannica ad alzare il piatto) ed è tornata qualche anno fa per una breve visita e una chiacchierata con Murray e Djokovic. E nell’81 - era una gelida giornata di febbraio e così indossò una calda pelliccia di chinchilla e, come disse Paolo Rosi, uno spericolato cappellino di paglia verde – varcò il Severn e partecipò a un altro compleanno tondo e centenario, quello del rugby gallese.

Rimanendo in faccende ovali, nel 2003 le toccò inevitabilmente di ospitare l’Inghilterra che aveva appena conquistato la Coppa del Mondo: i reduci della finale di Sydney, i Woodward’s Boys, non furono invitati a cena ma per un tè con pasticcini. Tutto sommato, per dei giocatori di rugby poteva andare bene così. Raccontano che la mamma di Josh Lewsey raccomandasse al figlio di non sorbire troppo forte se la Regina era nelle vicinanze. Il fidanzamento e il matrimonio della nipote Zarah (figlia dell’amazzone Anna e medagliata olimpica nell’equitazione) con Mike Tindall non ha contribuito ad avvicinarla a quel mondo di nasi storti e visi plebei.

Altri appuntamenti che non poteva mancare e non ha mancato: le cerimonie inaugurali dei Giochi Olimpici di Londra ’48 (da principessa: il padre Giorgio VI era ancora in vita) e di Montreal ’76 e di una nutrita serie di Giochi del Commonwealth, a cominciare da quelli di Cardiff 1958. Dieci anni fa ha abbandonato ogni formalismo e si è lanciata, in tutti i sensi: ha invitato Daniel Craig a Palazzo e da 007, il suo agente più fidato e con una milizia lunga quasi quanto il suo regno, si è fatta convincere a intraprendere una missione: imbarcarsi su un elicottero e, appesa a un paracadute, planare sullo stadio di Stratford che stava per ospitare la cerimonia di apertura delle XXX Olimpiadi. Mica male per un’86.enne, molto sorridente mentre assisteva alla calata dal cielo della sua controfigura. Ora il Parco Olimpico, donato alla gente, porta e porterà il suo nome.

 

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