- reset +

Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
BRUNO ZAULI
“Il più colto uomo di sport”




Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
dall’ Ottocento al Fascismo
(le oltre 400 testate dimenticate)





Duribanchi / Dimissioni, dimissioni, ... vo' sperando

PDFPrintE-mail

Martedì 2 Luglio 2024

 

gravina-24 

Quel che resta della Nazionale di Spalletti e Gravina dopo l’azzurro tenebra di Berlino? Un mondo (quello del calcio) che sarebbe ancora una volta da rifondare. Ma, tranquilli, nessuno se ne andrà e tutto resterà come prima.

Andrea Bosco

Non se ne vuole andare. Gabriele Gravina è allergico alle “pressioni esterne“. Lui ha una missione da compiere. Ora ci sono le Olimpiadi (e non si cambia il presidente della FIGC prima dei Giochi). Poi ci sarà la Nation, poi le qualificazioni al Mondiale. Insomma: dimissioni mai. Neppure per quel senso di dignità che portarono Abete e Prandelli a darle, le dimissioni, al tempo del loro fallimento.

La Nazionale di Spalletti non ha solo perso contro la Svizzera. Ha perso la faccia giocando in modo imbarazzante. Con giocatori spremuti da una stagione lunghissima. Con giocatori sopravvalutati (“Barella il nuovo Modric“, roba che non si può sentire) e viziati. Coccolati da una stampa sempre indulgente. Spalletti ha le sue responsabilità, prima fra tutte quella di non aver capito (il medesimo errore da CT della Nazionale lo fece Arrigo Sacchi) che un CT non deve allenare. Deve fare il selezionatore. Deve isolare la squadra dalle troppe lusinghe dei procuratori, dei giornalisti, dei politici durante la competizione. E deve sperare nella fortuna, divinità che non sempre ci vede bene.


La Nazionale ha un tasso di qualità modesta. L'unico fuoriclasse si chiama Gigio Donnarumma, troppo poco per ambire al vertice del calcio continentale. Per una settimana sono stati lazzi sugli orologi, la cioccolata, le mucche, il formaggio con i buchi, le banche elvetiche. Salvo scoprire sul campo che gli svizzeri avevano un genio, il regista Xhaka. E noi invece l'acerbo Fagioli schierato al posto del chilometrato Jorginho. La riconferma di Spalletti è apparsa opportuna, nonostante il disastro di Berlino, dove i ricordi (del mondiale 2006) a lungo avevano avuto il sopravvento sulla realtà. Non opportuna è viceversa apparsa l'assoluzione che Gravina ha dato a se stesso.

Accantono i problemi personali emersi dall'inchiesta di Perugia (esiste ancora?). E anche quelli più recenti: la multa di 4 milioni di Euro che l'Antitrust che ammollato alla FIGC per “posizione dominante“. Archivio anche le polemiche che il presidente federale, rivendicando l'autonomia del calcio, ha sbandierato contro governo e politici, rei di essere intervenuti sul “decreto dignità“ (che favoriva i tesseramenti di calciatori stranieri) e di aver attivato una agenzia indipendente in grado di controllare i bilanci delle società, come la Covisoc (con i membri designati dalla Federazione) non era riuscita a fare.

Intendiamoci: non è detto che l'Agenzia sponsorizzata dal ministro Abodi, alla fine si riveli davvero “indipendente“. Troppi politici, ultimamente, stanno mettendo becco (anche straparlando) nelle cose del calcio. Da tifosi e da interessati possibili fruitori di un “piatto“ (quello del calcio) sempre, comunque, “ricco“. E nel quale tutti ambiscono a “ficcarsi“. Gravina avrebbe dovuto dimettersi perché in sei anni di gestione della Federazione non ha fatto alcuna delle riforme che aveva promesso.

Non quella (urgentissima) della giustizia sportiva. Non la riduzione del numero delle società professionistiche (cento, rappresentano una follia). Non la (sarebbe opportuna) separazione dei dilettanti (del calcio sociale dovrebbe occuparsi lo Stato, ergo il governo), da quello dei professionisti. Non la riforma dei calendari. Non un vero progetto sui vivai. Non la “protezione“ del calcio nazionale, con norme che non vadano contro le leggi europee, ma che limitino (questo federazione e leghe potrebbero farlo) la presenza contemporanea in campo di giocatori provenienti da federazioni straniere. Altrimenti si arriva alla follia del Lecce: che ha vinto il campionato Primavera, schierando 11 giocatori stranieri, su 11.

Non ha previsto Gravina una riforma del sistema di votazione per l'elezione del presidente federale. In base a quella attuale, contabilità alla mano, saranno sempre e solo i dilettanti a designarlo. Non ha lavorato Gravina per portare il numero delle partecipanti del campionato di Serie A a 18 club: dando respiro al torneo e regalando ossigeno ai raduni della Nazionale. Non ha lavorato per una più equa redistribuzione dei proventi, provenienti dai diritti televisivi. L'elenco sarebbe sterminato e neppure vale la pena di sfogliarlo per intero. Perché in definitiva siamo di fronte ad un presidente federale sotto la cui gestione l'Italia ha fallito la qualificazione (per la seconda volta di fila, la prima durante il “regno“ del defunto Tavecchio), e oggi ha assistito basito al disastro in Germania.

Ma è anche, Gravina, il presidente federale, riconfermato nell'incarico con maggioranza bulgara, votato da tutti: Serie A, Serie B, Lega Pro, Dilettanti, Associazione Allenatori, Associazione Giocatori, Arbitri. Tutti sono responsabili del fallimento della Nazionale. Perché tutti hanno votato per Gravina. E a differenza della stagione di Calciopoli, non si vede all'orizzonte un “commissario straordinario“ del lignaggio di Guido Rossi. Che era un uomo di parte (calcistica) ma che aveva l'appoggio del governo (Prodi) di allora.

Il calcio italiano va rifondato. Non va solo corretto o “oliato“. L'Europeo di Mancini è stato un momento irripetibile. Come il titolo europeo della Grecia o della Danimarca. Se non si percepisce questo, le cose andranno sempre peggio. Gravina non può essere il futuro. Servirebbe un Commissioner modello Stern dell'NBA. Un manager che non abbia legami con la politica. Perché Gravina, prima che un uomo di calcio, è un politico. E questo nuoce la calcio. Come in generale nuoce allo sport. La politica ha altri interessi, segue altre logiche, ha altre aspirazioni. Che quasi mai coincidono con la crescita del movimento. I risultati sono “medaglie“ da distribuire quando va bene, da appendere e da appendersi sul petto. Portano visibilità e voti. Ma non necessariamente portano sviluppo.

Il calcio italiano dovrebbe chiedersi – ad esempio – perché un talento di 17 anni come Guido Della Rovere della Cremonese venga perso “a zero“ dalla sua società (è finito al Bayern di Monaco) piuttosto che essere messo nelle condizioni di finire (pagato) in una qualche società italiana. Su di lui c'erano Atalanta, Juventus e Milan. I Della Rovere emigrano e in Italia arrivano spesso “brocchi“ che sui calciatori italiani hanno un solo vantaggio (magari anche perché i loro passaporti sono fasulli): sono superiori come massa muscolare.

Dice: non ci sono più i campetti e i patronati di un tempo. Non si gioca più in strada. Non ci si affina, “divertendosi “. E' vero: oggi il calcio è soprattutto diagonali e tattica, piuttosto che dribbling e capacità di stoppare la palla. Ma è anche vero che il calcio, in Italia, riflette un Paese refrattario alle riforme, ferocemente disponibile a dire “no“ per qualsiasi argomento. E' un paese viziato che si eccita per le mode “al contrario“. Tre studentesse maturande di un liceo veneziano (quello dove il sottoscritto ha fatto le medie), penalizzate allo scritto di greco, per protesta, hanno fatto all'orale scena muta. Sono state egualmente promosse. E il ministero ha avviato una ispezione. Sulle studentesse? No: sulla professoressa, commissario esterno, che su 14 compiti ne aveva ritenuti 10 non sufficienti. Non serve concordare con un generale dalle irricevibili idee, per essere d'accordo con lui su una cosa: “Il mondo è al contrario“.

Concludendo: Gravina non schioderà dalla poltrona. E “passata la buriana“ facilmente potrebbe persino ricandidarsi. Gravina ha imparato a memoria il mantra del Principe di Salina: quello dei gattopardi. E con quello anche i precetti manzoniani del Conte Zio: “lenire, sopire“. Lui è lui: e del prossimo ha il parere che ne aveva il Marchese del Grillo. Gravina forever, allora. Con la benedizione di “lorsignori“ per dirla come un celebre polemista de l'Unità che duellava spesso con Indro Montanelli.

Di buono e di bello cosa resta dell'Europeo di Germania? Due cose. Le divise disegnate da Giorgio Armani. E lo splendido racconto che Walter Veltroni ha fato sul Corriere della Sera delle tristi vicende del collega di SKY, Marco Nosotti: il suo dolore per la morte della moglie stroncata dal solito maledetto male incurabile. La sua umanità. La sua passione per il lavoro. La sua voglia di tornare “sul campo“, perché questo sua moglie avrebbe voluto.

L'insegnante che lo invitava durante i collegamenti a non essere “retorico e verboso“. Non conosco Nosotti, ma lo apprezzo per come racconta il calcio. Quello che non esiste più. Ma che Nosotti in qualche modo cerca ancora di far vivere. Pur nella probabile consapevolezza, come afferma Montale in una delle sue stupende poesie, che: “Nulla ricomincia“.

 

Cerca