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I sentieri di Cimbricus / Quel giorno dello sbarco in Normandia

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Martedì 4 Giugno 2024

 

millin


“Fraser aveva con sé il suo suonatore di cornamusa, Bill Millin, che invitò a suonare appena sulla spiaggia. “Mi pare, signore – disse Millin – che il regolamento non lo permetta”. “Ma quello è un regolamento inglese, Bill, e io e te siamo scozzesi”.

Giorgio Cimbrico

Ottant’anni fa i primi ad arrivare – non dal mare ma frusciando nell’aria – furono gli uomini della compagnia D della 6ª divisione aerotrasportata: il D-day, 6 giugno 1944, era cominciato da 16 minuti e i sei alianti Horsa presero terra a meno di cinquanta metri dal ponte di Benouville. Da quel momento sarebbe diventato Ponte Pegasus, Pegasus Bridge anche sulle cartine francesi. Lo stemma della divisione rappresentava Bellerofonte in groppa a Pegaso, il cavallo alato.

I tedeschi furono colti di sorpresa da quello che i francesi chiamano coup-de-main, risposero al fuoco e il tenente Den Brotherhidge diventò il primo caduto in azione dell’Operazione Overlord.

Gli Ox and Bucks (dal nome dal loro reggimento di provenienza, Oxford and Buckinghamshire) presero il ponte e si attestarono a difesa: erano stati spediti sul canale di Caen e sul fiume Orne, che attraversa la vicina Ranville, per bloccare quei due attraversamenti in ferro, a bilanciere, e impedire che forze corazzate tedesche provenienti da Caen potessero dirigersi verso Ouistreham: quel tratto di costa normanna era diventato Sword. Le altre due spiagge su cui dovevano sbarcare gli anglo-canadesi erano Juno e Gold. Gli americani avevano avuto in sorte Utah, la più a Ovest, e quella che sarebbe diventata Bloody Omaha, Omaha la sanguinosa.

Per un caso della sorte i cinque nomi in codice (e quello della gigantesca operazione), quando il giorno si avvicinava, finirono nelle definizioni di un cruciverba molto popolare. L’autore era un rispettato insegnante in pensione che venne fermato, interrogato e rilasciato dall’MI6. Non c’era materiale scritto che non finisse sotto l’esame del controspionaggio e dei crittografi di Bletchley Park: esistono molti modi per vincere la guerra.

Il reparto che prese il ponte era comandato da John Howard, figlio di un poliziotto londinese: veniva dalla gavetta e, dopo un congedo e un periodo di servizio nella polizia di Oxford, era rientrato nei ranghi e durante la guerra aveva salito rapidamente di grado in grado: sergente maggiore, tenente, maggiore. Aveva carattere e coraggio.

Verso le 3 del mattino Howard e i suoi vennero raggiunti dai rinforzi, un gruppo di uomini della 7ª divisione, anch’essa aerotrasportata, comandato dal tenente Richard Todd. Todd era dublinese e meno di vent’anni dopo avrebbe interpretato la parte di Howard nel “Giorno più lungo”. “Resisterete sinché vi sostituiranno” era la consegna che martellava in testa.

Gli uomini arrivati dall’aria tenevano i ponti e attendevano l’arrivo degli uomini che erano arrivati dal mare all’alba di quel giorno grigio, autunnale. Era il reparto di un uomo molto diverso da Howard: il tenente colonnello Simon “Shimi” Fraser era il 15° Lord Lovat, era nato nel castello di Beaufort, nei pressi di Inverness, e aveva antenati che pescavano in profondità nella storia scozzese. Era cugino di David Stirling, il fondatore del SAS, il gruppo che, a cominciare dalla campagna in Nordafrica, avrebbe dato filo da torcere ai tedeschi e organizzato spericolati raid nel deserto e che è ancor oggi un reparto d’élite dell’esercito britannico.

L’attività dei commando, benedetta da Winston Churchill e da Lord Mountbatten, diventò il gradito pane quotidiano di Fraser: nel giugno del 1940, dopo l’attacco tedesco alla Norvegia, sbarcò con i suoi uomini alle isole Lofoten distruggendo scorte alimentari e di carburante e due anni dopo, nel disastroso raid di Dieppe (4000 tra morti e prigionieri, la maggior parte canadesi, per dimostrare a Stalin che il momento di aprire un secondo fronte non era ancora arrivato), fu l’unico a centrare l’obiettivo, una batteria di artiglieria.

Conosciuti come gli Scouts di Lovat, gli uomini di Fraser erano inquadrati nella Special Service Brigade. Fraser aveva portato con sé il suo suonatore di cornamusa, Bill Millin, che invitò a dar aria allo strumento non appena toccarono la spiaggia. “Mi pare, signore – disse Millin – che il regolamento non lo permetta”. “Ma quello è un regolamento inglese, Bill, e io e te siamo scozzesi”. E Millin iniziò a suonare “The Black Bear”.

Fraser aveva una divisa di ordinanza (Peter Lawford, che lo impersonò nel film dal cast sterminato prodotto da Darryl Zanuck, portava un maglione bianco), impugnava un M1 americano o forse un Mannlicher. Un’arma per la caccia alla grouse, la magnifica pernice scozzese, avrebbe dato un tocco di snobismo in più.

Gli Scouts si avviarono. Il piano prevedeva che sarebbero arrivati a rilevare Howard e i suoi per mezzogiorno. Sembra siano arrivati all’una pomeridiana ma esiste anche una versione che attribuisce un ritardo di due minuti e mezzo. Fraser, in ogni caso, si scusò.  

Il ponte, vecchio e stretto, venne sostituito da una struttura più moderna nel 1993, poco prima delle celebrazioni del 50° anniversario dello Sbarco, ma non andò perduto: un gruppo di veterani lo acquistò per la cifra simbolica di un sterlina ed è stato rimontato accanto al museo dedicato a Howard e alla fattoria che sorge lì accanto. La ricostruzione di un aliante Horsa completa la scena.

Nelle vetrine, un mare di ricordi e la cornamusa di Millin, finito in una delle più famose foto di quel giorno (e in una statua), quando stava per mettere i piedi a mollo, attento a non far cadere nell’acqua della Normandia il suo lamentoso e guerresco strumento.

 

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