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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

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I sentieri di Cimbricus / "El Guerrouj c'est grand"

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Venerdì 16 Giugno 2023

 

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Ad Oslo il più grande 1500 della storia ha rispettato il record di Hicham. Ma certo Jakob, purosangue dalla progressione che non perdona, ritenterà sulla strada dell’accoppiata 1500/5000 riuscita ai Giochi solo a Nurmi e a el Guerrouj.

Giorgio Cimbrico

Jakob Ingebrigtsen non ha battuto il record del mondo di Hicham el Guerrouj e ha permesso che il magnifico marocchino possa festeggiare le nozze d’argento con il 3’26”00 del 14 luglio 1998 all’Olimpico. Tuttavia, oltre a una collezione sempre più abbondante di primati, può vantare un paio di imprese destinate all’eternità: non tanto il 3’27”95 del nuovo record continentale, già suo, quanto il ruolo di tatuato pifferaio magico che ha guidato la muta degli inseguitori a un risultato d’assieme unico, otto sotto i 3’30” e il nono, il britannico Josh Kerr a 8 centesimi dal superare quella barriera. La densità e il valore richiamano gli 800 di Londra 2012.

I tempi del Bislett – rombante ed entusiasta – sono note scritte su un foglio di musica: dietro Jakob record del meeting e dello stadio sottratto proprio a el Guerrouj), Mohamed Katir 3’28”89, Yarred Nuguse 3’29”02 (record del Nord America), Timothy Cheruiyot 3’29”08, Mario Garcia 3’29”18,  Azzedine Habz 3’29”22 (record francese mancato per 24 centesimi), Ollie Hoare 3’29’41 (record australiano), Narve Nordas 3’29”47: sarebbe record norvegese non fosse venuto al mondo in casa Ingebrigtsen il piccolo Jakob.

Una visione, più che uno scenario possibile, invita a immaginare un tentativo di record del mondo nella natia Sandnes, come scudieri i fratelli Henrik e Filip e Nordas, per ripercorrere i sentieri del 6 maggio 1954 quando, nella oxfordiana Iffley Road, Chris Brasher e Chris Chataway diedero una robusta, non definitiva, mano a Roger Bannister nella sua esplorazione sotto i 4’ nel miglio.

A questo punto, largo ai regni infiniti di Hicham el Guerrouj. A metà luglio, in un giorno visitato dalla storia, il 14 luglio, e a cento anni dalla nascita di Primo Nebiolo, sarà l’occasione di celebrare quel quarto di secolo nei 1500, quei ventiquattro anni nel miglio. I due record, 3’26”00 e 3’43”13, sono venuti nello stesso luogo, lo stadio Olimpico di Roma, a 358 giorni di distanza l’uno dall’altro.

Nella lunga storia delle due distanze nobili e classiche, il miglio metrico e quello imperiale, nessuno, neppure lontanamente, aveva conservato così a lungo i due primati. Una constatazione a volo d’uccello rivela che nei 1500 Herb Elliott mantenne il vertice per nove anni, Jim Ryun e Said Aouita per sette, Noureddine Morceli per sei. Nel miglio, Ryun nove anni, Paavo Nurmi e Steve Cram otto.

Chi gli è finito più vicino è stato Bernard Lagat, 3’26”34, ma in quell’occasione – Bruxelles 24 agosto 2001 – il kenyano diventato americano venne preceduto da Hicham, 3’26”12, secondo tempo di sempre. Stessa situazione nel miglio: la prestazione più vicina al record del mondo, 3’43”40, è di John Ngeny, preceduto da el Guerrouj il 7 luglio 1999 in fondo a un appassionante rettilineo.

Oggi el Guerrouj non è lontano dai 50 anni, è forse un paio di chili in più e ha una barba fitta che gli regala l’aspetto di un filosofo. Come avrebbe scritto Karen Blixen, ci è stato dato, lo abbiamo amato, abbiamo vissuto a qualche decina di metri da lui momenti che hanno coinvolto, commosso. E così Hicham il pio, il mite, degno di una poesia di Omar Kayan, di una miniatura di scuola persiana, diventa il simbolo di un’età che lui e noi abbiamo attraversato, interpretato, smaltato, coperto di pietre preziose.

Esistono e vengono conservati attimi più eloquenti di qualsiasi raccolta di dati, di ogni collezione di medaglie, di ogni imponente corpus di prestazioni. Per Hicham, la prima scelta cade su quel giorno sivigliano del bollente agosto del 1999: inizia al mattino, quando la gente sfida il primo caldo, violento, africano, per mettersi in coda, comprare gli ultimi biglietti per la “corrida” promessa dalla serata. Vengono portati tendoni: a mezzogiorno, 40°. Aria immobile, secca. Ogni isola d’ombra, un’oasi. Al parcheggio dei taxi, vicino alla Cattedrale e all’Archivio delle Indie, autisti che sfogliano tabloid: Estevez, Cacho e Diaz, calati nelle vesti di luce dei toreri, impugnano spade e banderillas, Li attende un novillo (un giovane e agile toro) che viene dall’Africa: Berkane non è lontana da quella porzione di Marocco che sui francobolli si chiamava Marruecos Espanol.

A Siviglia la Plaza de toros non è monumentale come a Barcellona, come a Madrid. E’ piccola, elegante, sempre ben rinfrescata a calce, e ha una cappella con la Vergine che promette aiuto a chi va a sfidar la sorte: non è noto se i tre matador, nel breve viaggio verso lo Stadio Olimpico della Cartuja, sulla vasta isola contornata dal Guadalquivir, si fermino per una preghiera, per una benedizione. Sulla tauromachia come metafora dell’esistenza Hemingway ha scritto “Un’estate pericolosa” e “Morte nel pomeriggio”: la triade di Spagna sa che quel che dovrà affrontare ricade in questa sfera. Incruenta e definitiva.

Quando la salute e la sorte gli sono state al fianco, el Guerrouj ha saputo offrire un prodotto di sintesi difficile da miscelare: la calligrafia naturale capace di sovrapporsi all’efficacia, diventare tessuto prezioso per cucire l’interpretazione perfetta. Hicham non teme gli spagnoli, sa che si libererà presto dalle panie di un loro tentativo di gioco di squadra. Lui teme Noah Ngeny, il kenyano che aveva avuto una parte importante, come scanditore di ritmo, nel 3’26”00 all’Olimpico e che un anno dopo, ancora a Roma, avrebbe finito per interpretare il ruolo di strenuo avversario nella rincorsa – riuscita – al record mondiale del miglio, la seconda gemma che el Guerrouj incastonò in una corona che il tempo non ha ossidato.

Molto spesso le gare che consegnano titoli non vengono corse a rotta di collo ma ricadono nel repertorio della “drole de guerre”, della guerra non guerreggiata, destinata ad accendersi violenta solo al suono della campana. Siviglia è una meravigliosa eccezione: il ritmo alto diventa spietato sotto le spinte eleganti di Hicham che semina gli spagnoli ma, senza neppur girare il capo all’indietro, sa, per il risuonar dei passi, che Ngeny è ancora lì, nella sua ombra. Ed è qui, dopo aver chiesto e ottenuto aiuto da chi è nel cielo e da chi vi è assurto, che viene confezionato il capolavoro dell’1’50”2 nell’800 finale, del 53”8 sull’ultima tornata. Il 3’27”65 vincente è, all’epoca, il quinto tempo della storia, il primo – anche tuttora – ottenuto in un giorno in cui era in palio un titolo globale. Ngeny cade da invitto in 3’28”73, Estevez salva l’onore nazionale e conquista una medaglia poco al di là dei 3’30”.

La stessa formidabile combinazione di tattica, strategia e capacità di ritmo elevata ad arte saranno, cinque anni dopo, alla base dell’accoppiata ateniese, quando Bernard Lagat (non ancora americano) si rivelò duro a morire, quando Kenenisa Bekele venne costretto ad assistere al progressivo inumidimento della sua polvere da sparo. Hicham, l’uomo dei Mondiali, aveva con l’Olimpiade, più che un conto da saldare, un destino da scrivere: caduto ad Atlanta, nel momento dell’attacco di Morceli, tormentato da una salute malferma a Sydney (ne seppe approfittare proprio Ngeny), non poteva pensare di andarsene senza aver lasciato il segno. Ne lasciò due, con gli occhi gonfi di lacrime e l’Equipe gli dedicò un’intera prima pagina con una foto che pare un quadro storico, una “Ronda di Notte” dell’atletica, e un titolo che sembrava banale ed era meraviglioso: “El Guerrouj c’est grand”. Come Allah. Ed è personale motivo di orgoglio ricordare che quando Hicham annunciò di voler rincorrere la doppietta olimpica 1500/5000, toccò a chi scrive osservare che ottant’anni prima il tentativo era andato a buon fine quando in un paio d’ore Paavo Nurmi aveva scritto la storia. Hicham disse di non saperlo e ringraziò per l’informazione.  

Hicham ha dato l’addio nel 2006. Guida la storia dei 1500 e del miglio, è il kaid dei 2000 raramente corsi, è stato l’unico, con 7’23”09, a insidiare il terrificante 7’20”67 reatino di Daniel Komen, ma ora Ingebrigtsen è finito nei pressi, 7’24”00 di passaggio sulle 2 miglia a Parigi. Per quattro volte consecutive, ad Atene, Siviglia, Edmonton e Parigi, dal ’97 al 2003, è stato campione mondiale dei 1500 e ha raccolto anche due secondi posti: all’esordio, nel ’95, sui 1500, e sui 5000 allo Stade de France, nel 2003, quando l’operazione Atene era giunta a un momento di prima, importante verifica. Vinse un giovanissimo e sconosciuto kenyano: Eliud Kipchoge.

Su tutte queste meraviglie cala un vecchio ricordo: è quello di un acerbo purosangue che scende sulla pista indoor di Parigi Bercy, Mondiali indoor ‘95, in una mattinata di batterie. “Magnifico ragazzo. Come si chiama?”. “Hicham El Guerrouj”. Nome nobile, malgrado il padre fosse il gestore di una modesta trattoria.  Avrebbe occupato molti piacevoli e commossi giorni di chi osserva, annota e prova a condire con parole quanto gli viene offerto. Con Hicham, grazie a Hicham, tutto è stato facile e dolce. Ora tocca a Jakob, meno calligrafico, ma dalla progressione che non perdona. Anche per lui l’obiettivo è l’accoppiata olimpica 1500/5000, a cento anni da Nurmi, da el Guerrouj.

 

 

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