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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
BRUNO ZAULI
“Il più colto uomo di sport”




Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
dall’ Ottocento al Fascismo
(le oltre 400 testate dimenticate)





Duribanchi / "Essere grandi equivale ad essere incompresi"

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Martedì 13 Giugno 2023

 

 berlusconi-morto


Amato, venerato quanto detestato e odiato. Mistico nella ricerca del successo, geniale nell’abbinamento politica e sport. Si magnificano i successi nel calcio, si dimentica il fallimento miliardario con la Polisportiva Milan.

Andrea Bosco

Non era “invincibile“ e lo sapeva. Ma gli piaceva che la gente pensasse lo fosse. Si è arreso alla malattia dopo aver a lungo lottato, come nella vita aveva sempre fatto. I giudizi su Silvio Berlusconi, scomparso lunedì mattina a 86 sono (e saranno) variegati. Da “cavaliere“ ha giocato a lungo come nel film di Bergman a scacchi con la Morte, l'imbattibile signora che conosce in anticipo tutte le mosse. Dandole, va riconosciuto, filo da torcere. Le “mosse” di Berlusconi sono sempre state imprevedibili: persino per una “smagata“ come la Nera Signora.

Ci vorrebbe l'Enciclopedia Britannica per elencare tutte le tappe della carriera, imprenditoriale, sportiva e politica di Silvio Berlusconi. Un uomo dai mille primati. 29 titoli calcistici: il Real Madrid “commemorandolo“ lo ha definito un presidente “leggendario“. Un mostro di longevità politica. Pare fosse un amante instancabile: persino superiore a John Kennedy.

L'edilizia, l'editoria, la televisione, le banche, la pubblicità: barche e case da sogno sparse in tutto il mondo. E programmi di intrattenimento che hanno cambiato il costume degli italiani. Pochi amici veri, ma basilari: Deborah Bergamini, Mike Bongiorno, Confalonieri, Dell'Utri, Doris, Galliani, Gianni Letta, Tajani. Qualcuno sostiene, anche un Papa. Un pockerista visionario che non sempre ha azzeccato la strategia ma che non ha mai abbandonato il tavolo. Specie se sul tavolo c'era un “piatto“ ricchissimo.

Geniale l'abbinamento politica-sport. Il suo partito chiamato “Forza Italia“. Il suo approdo nella competizione elettorale (quando tutti lo sconsigliavano) opposto ad Achille Occhetto, “la discesa in campo“.   Amato, venerato “per fortuna che Silvio c'è“, calunniato, detestato: un “Caimano“ per dirla con Nanni Moretti. “Venditore“ di talento, portato all'esagerazione (Giannelli lo gratificò, quando andò a parlare all' ONU con la celebre vignetta: “Occhio a non spararle grosse che qui il Palazzo è di vetro“), ma leale, protettivo con la sua “corte“.

Mistico nella idea della conquista del successo, con una smodata volontà di stupire (solo Berlusconi poteva farsi costruire nella sua villa in Sardegna un finto eruttante vulcano da esibire agli ospiti). La corte dei giornalisti amici e le schiere degli inimici. L'editto bulgaro contro Biagi, Luttazzi e Santoro emarginati dalla RAI e di contro la velenosa volgarità di mille comici. E poi il dissidio con Indro Montanelli, l'uomo che venerava ma che non poteva concepire non fosse al suo fianco nella battaglia contro il comunismo per la “libertà“. La parte anarchica di Montanelli non poteva sopportare di essere al servizio di un “padrone“. Se avesse Berlusconi letto di come Montanelli se ne andò sdegnato dal Corriere del quale era il “padre nobile“ per la svolta gauchiste di Giulia Crespi forse avrebbe capito. Se avesse saputo che uno dei più grandi amici di Indro era quel Fortebraccio (Mario Melloni, cattolico di sinistra) che con Montanelli ogni giorno duellava dalle colonne de L'Unità forse si sarebbe comportato in modo diverso.

Un uomo generosissimo con chi non lo contrastava, capace di perdonare anche chi lo aveva tradito, ma duro con chi lo ostacolava. Con una debolezza che ne tradiva le origini: quella di voler essere “amato“ da tutti. Le sue aziende un esempio poco usuale: l'uomo che detestava i “comunisti“ arruolò una quantità industriale di ex comunisti. Forse il lungo tragitto giovanile dai salesiani gli aveva fatto coltivare l'idea missionaria di “convertire“ alla società liberale i marxisti.

Venuto dalla gavetta sognava di fare concorrenza (e non solo nel calcio) all'Avvocato Gianni Agnelli. Missione impossibile, visto che lo charme non si compera, ma se uno si è avvicinato alla “grandezza“ di Gianni Agnelli, questo è stato certamente Silvio Berlusconi. Agnelli, con il quale il Cavaliere ha sempre avuto buoni rapporti, anche se pare che all'inizio della sua ascesa l'Avvocato lo avesse gratificato con una delle sue fulminanti battute: “Giampiero (Boniperti, NdR) il nostro antennista ha comprato il Milan“.

Acquisire il disastrato Milan da Giussi Farina fu un colpo da maestro. La prima intenzione di Berlusconi pare fosse quella di investire sull'Inter. Ma poi, la fede giovanile e soprattutto il “calcolo“ (il Milan è sempre stata la squadra popolare di Milano, quanto l'Inter quella dei quartieri alti) fecero la differenza. Lo comprò in extremis prima che Farina cedesse a Boniperti due big quali Baresi e Maldini. Nel giro di qualche tempo “l'antennista” dimostrò di fare sul serio, soffiando alla Juve, quel Donadoni dall'Atalanta che l'allora presidente bergamasco Bortolotti aveva già ceduto alla Juventus. Ma Berlusconi si presentò con un assegno “doppio“ rispetto a quanto pattuito con la Juventus . Bortolotti telefonò ad Agnelli pregandolo di liberarlo dall'impegno. E a Boniperti che si era presentato furibondo nell'ufficio dell'Avvocato, il principe sabaudo disse: “Giampiero, diremo a Trapattoni di far giocare Marocchino“.

All'inizio della sua avventura calcistica, Berlusconi seguiva molto le mosse della Juventus. Per esempio Boniperti aveva opzionato Gullit, ma avendo la Juve in organico all'epoca già Boniek e Platini, nei piani di Boniperti, l'olandese sarebbe dovuto andare in prestito, pare proprio all'Atalanta. Ma Gullit rifiutò e Berlusconi colse al volo l'occasione. Stupendo l'intero mondo del calcio e mettendo sotto contratto il semisconosciuto Arrigo Sacchi, allenatore del Parma, che lo aveva impressionato per il tipo di gioco che praticava.

Si piccava, Berlusconi, di essere un “grande competente“. Era vero. Non faceva lui la formazione, ma ovviamente il suo parere pesava. Pesò anche quando mise sotto contratto Van Basten. Che era dell'Ajax e che era stato proposto alla Fiorentina e successivamente alla Juventus. Ma giravano strane voci sulla caviglia dell'olandese e Boniperti virò su Ian Rush, il gallese del Liverpool che segnava a raffica. In Italia Rush, che non imparò mai una parola di italiano, deluse e durò una stagione. Van Basten si rivelò come il più forte centravanti (superiore persino ai Nordhal, agli Angelillo e ai Charles) straniero mai visto in Italia.

Il Milan di Berlusconi è stato una squadra invincibile: con Sacchi e poi con Capello. Con gli olandesi e poi con gli africani formatisi in Francia, poi con gli slavi dal talento immenso come Boban e Savicevic. Poi con una teoria di brasiliani che per la volontà di Berlusconi “amante del bello“ per anni hanno deliziato la torcida. Infine con quell'Ibra che da pochissimo si è ritirato e che dopo essere stato alla Juventus e all'Inter ha contribuito alla leggenda del Milan. I giocatori, ma anche gli allenatori: Sacchi, Capello, Ancelotti, persino quell'Allegri che a Berlusconi non piaceva perché era “comunista“ e al quale imputava di essersi liberato con troppa superficialità di Pirlo. Anche se ad un seggio elettorale, ad una signora che gliene chiedeva conto, confidò: “Signora, lei non sa quanto ci costava“.

Prima di cedere il Milan al cinese più misterioso e “pezzente“ della storia dell'uomo e prima di dedicarsi (ancora una volta con successo al Monza dell'amico Galliani), Berlusconi aveva fatto un buco nell'acqua (uno dei pochissimi) con la Polisportiva Milan, attiva dal 1986 al ‘94, coordinata dal 1991 da Fabio Capello e nel 94' smantellata. Il sogno di riunire in un'unica società il baseball, l'hockey su ghiaccio, la pallavolo e il rugby si rivelò fallimentare. Anche perché al sogno mancò sempre una “gamba“: quell'Olimpia Milano che nel basket era diventata con le “scarpette rosse“ un mito.

Così come (costretto) una sola volta Berlusconi mise piedi alla Scala (il melodramma lo annoiava), allo stesso modo il Cavaliere non comprendeva il basket, quel gioco che sembra semplice e che viceversa rappresenta una filosofia di vita. Concettuale e spietato, angosciante e spettacolare. Raramente nel calcio una squadra che sta vincendo dopo una frazione di gioco per tre a zero (ma al Milan, capitò in Turchia contro il Liverpool in una finale di Champion's) alla fine perde. Ma nel basket anche 20 punti di vantaggio possono essere il “nulla“ se gli avversari cominciano a vedere il canestro “largo“ come una vasca da bagno. Un peccato: un Berlusconi che si fosse appassionato al basket avrebbe portato a Milano e all'Italia un contributo essenziale per la crescita del movimento. Per le sue innovative idee e per la forza dei suoi media.

Ha fatto tuttavia Berlusconi un capolavoro, portando una piccola realtà (quasi un quartiere di Milano) come il Monza in serie A. Fosse rimasto in vita avrebbe certamente alzato anche con il Monza qualche trofeo.

Come avrete letto, deliberatamente non ho voluto occuparmi dei suoi guai giudiziari, dello zelo delle procure nei suoi confronti, della sua vicenda politica e umana punteggiata da film, pieces teatrali, migliaia di libri, quasi tutti contro la sua persona, la sua fortuna, le sue (anche discusse) frequentazioni. Il gossip che lo ha avvicinato per tutta la vita a donne bellissime e sovente troppo più giovani di lui. Della sua capacità politica e della amicizia con alcuni leader di primo piano. E purtroppo per lui anche con quel Vladimir Putin che passerà alla storia come uno dei più spietati macellai che la vicenda umana rammenti. Ma certamente “coerente“ Berlusconi, solido nel pensiero, che gli “amici, anche se sbagliano, non si abbandonano“.

Cosa sarà della sua creatura politica, Forza Italia, nessuno lo sa. L'unica in grado di accogliere la sua eredità, a detta di molti, sarebbe la figlia Marina. Che peraltro, ripetutamente, ha spiegato di non volersi occupare di politica. “Delfini“ non ce ne sono: chi in passato ci ha provato o è sparito dalla scena o è stato ridimensionato. Dicevano di Berlusconi che avesse il “complesso di Erode“: che li “uccidesse“ da piccoli evitando potessero crescere. In realtà era la smisurata (anche legittima) considerazione di sé che non gli permetteva di immaginare un successore. Una volta gli chiesi: “Come immagina chi raccoglierà la sua eredità?“. Non so se sotto al tavolo mentre lo chiedevo facesse qualche gesto scaramantico, ma mi rispose con uno di quei suoi sorrisi lazzaroni: “Dottore: Alessandro Magno non ha avuto successori“.

Ignoro se conoscesse i “Saggi“ di Ralph W. Emerson, ma immagino che là dove è andato, questo pensiero potrebbe gratificarlo: “Essere grandi, equivale ad essere incompresi“. A pensarci: sua mamma Rosa, aveva le stesse idee di Emerson.

 

 

 

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