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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

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Duribanchi / Il calcio non e' piu' soltanto un gioco

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Lunedì 27 Febbraio 2023


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Nel mondo del pallone serve una evoluzione che possa portare ad una più equa distribuzione delle risorse. Una evoluzione che riformi un calcio oligopolistico che non riesce a darsi una vera prospettiva di crescita.

Andrea Bosco

A quanti continuano a ripetere che il “calcio è in definitiva, solo un gioco” consiglierei di leggere “Le nuove guerre del calcio / Gli affari delle corporazioni e la rivolta dei tifosi”” (Serie bianca / Feltrinelli) di Marco Bellinazzo, firma del Sole 24 Ore, avvocato napoletano, giornalista, scrittore, esperto di economia e finanza del mondo dello sport e del calcio in particolare. Lo abbiamo intervistato sul calcio di oggi e di domani. Cominciamo con una domanda.

– Come si spiega il sottotitolo del tuo libro, la forbice sembra essere tra gli affari delle corporation e la rivolta dei tifosi?

“Direi che esiste una data simbolo nell'evoluzione del calcio: il 2003, quando Roman Abramovic, magnate russo legato a Putin, comprò il Chelsea. Da allora il calcio ha subito una radicale rivoluzione”.

– Possiamo dire che c'erano stati dei precedenti, tipo il Napoli di Maradona il cui acquisto fu agevolato dalla politica e dal prestito che il Banco di Napoli concesse al presidente Ferlaino per una operazione che avrebbe portato quella squadra a vincere lo scudetto?

“E' vero. Ma forse l'antesignano in Italia fu Silvio Berlusconi che costruì il suo Milan vincente accostandolo alle sue aziende televisive. In Francia c'era stato il caso del Marsiglia di Bernard Tapie”.

– E' un calcio che continua ad espandersi ma i cui costi sono diventati proibitivi, con molti club dai bilanci in rosso e che hanno cercato – per ora senza riuscirci – la scorciatoia della Superlega per sopperire alle difficoltà.

“L'iniziale modello proposto da Barcellona, Juventus e Real Madrid, che ancora cavalcano l'idea, era sbagliato. E inevitabilmente fallì. Oggi si parla di una competizione allargata a 60, forse 80 club, con almeno 14 partite all'anno garantite. E' la necessità delle televisioni che pagano per i diritti televisivi. Ma alla Tv di Singapore, per essere appetibile, devi assicurare che i suoi telespettatori vedano le big scontrarsi sul campo. Sono esigenze industriali e di mercato, considerato che la maggior parte dei club in Europa è indebitata.

L'UEFA non dovrebbe bloccare questa evoluzione, visto che la sua annunciata riforma appare un guazzabuglio. Serve una evoluzione che possa portare ad una più equa distribuzione delle risorse. Una evoluzione che riformi un calcio oligopolistico che non riesce a darsi una vera prospettiva di crescita. Gli sport professionistici statunitensi (basket, baseball, football, hockey) hanno un bacino d'utenza inferiore rispetto a quello continentale del calcio. Ma gli USA fatturano 50 miliardi annui con la prospettiva reale di arrivare a 60. Il calcio europeo si attesta sui 30 miliardi. Evidentemente il modello proposto finora va cambiato”.

– Negli USA c'è quello che tu definisci “socialismo sportivo”. E fai l'esempio della franchigia di San Fancisco nel basket: i Golden State. Che dopo essere sprofondati sul fondo della classifica NBA, grazie (anche) al sistema del draft, vale a dire poter scegliere per primi i migliori talenti che escono dal college, anno dopo anno (se in precedenza i risultati sportivi sono risultati carenti), è tornata a primeggiare con quattro titoli finiti in bacheca. Però consentimi, senza Curry, uno che ha cambiato letteralmente la concezione del tiro da tre punti, forse non sarebbe stato possibile. E Curry, fisico da impiegato, ma mani dalla incredibile sensibilità, fu scelto solo al settimo giro del draft del 2009. Quindi non solo il “socialismo”, ma anche il singolo fuori dalla norma.

“Certo: la macchina aziendale deve essere al servizio del grande giocatore, quando lo trova Uno come Curry non è solo bravo: muove cifre stratosferiche. In Napoli di Maradona fallì. Quel Napoli non era supportato da una società in grado di crescere e di far crescere l'intero ambiente. Un ambiente che neppure favorì la crescita del pur sensazionale Maradona. Al netto, ovviamente, delle sue conosciute umane vicende”.

– Cosa pensi dell'espansione dei paesi islamici nel mondo del calcio?

“Chi ha grandi risorse economiche, investe. Gli americani hanno colonizzato mezza Serie A e parte della Serie B, in Italia. Paesi come Arabia Saudita, Qatar, Emirati, ma anche gli stati mediterranei del Nord Africa, si stanno espandendo. La FIFA di Infantino, che ha puntato sulla globalizzazione del calcio, ha la necessità di investire in questi paesi, dove il calcio è in grande sviluppo. Basti pensare al bellissimo mondiale del Marocco. E questo è positivo.

Tuttavia sarebbe necessario che fossero attivati controlli severi su questa espansione. Le voci di “mondiali comprati” si sono rincorse da Avelange a Blatter, predecessore di Infantino. C'è una assoluta necessità di trasparenza. Oltre a un modello di governace rigoroso. La presenza (in alcuni club in Europa) di risorse che appartengono a Stati sovrani rende il sistema indubbiamente più fragile. Perché il calcio è un fenomeno politico e sociale. Con implicazioni politiche e sociali. L'assemblea della FIFA pesa come quella dell'ONU. L'espansione del calcio, che ovviamente non può che essere un bene, deve avere dei contrappesi, affinché questa espansione non si muova a senso unico”.

– Quindi ritorniamo all'esigenza di una equità che il calcio non sembra voler realizzare?

“Più o meno è così. Ma sarà un percorso lungo, temo molto lungo”.

– La tecnologia ha reso il calcio più credibile. Ma l'eccesso di tecnologia potrebbe portare alla morte delle emozioni e ridurre il calcio a uno sport virtuale.

“Il modello virtuale piace ai giovani. E' una deriva che non si arresterà. Certamente la tecnologia dovrà cercare di preservare emozioni e imprevedibilità che sono alla base della passione dei tifosi. Il gol più famoso del mondo, quello di Maradona ai mondiali, nasce anche da un precedente gesto gaglioffo di Diego, la celebre “mano de dios”. Che la tecnologia avrebbe certamente annullato. Ma che avrebbe probabilmente privato la storia del calcio di quell'incredibile successivo slalom che sancì quel capolavoro”.

– Che idea ti sei fatto della vicenda che ha coinvolto la Juve in vari procedimenti giudiziari?

“Difficile da dire. Anche perché è un insieme di differenti casi. In alcune situazioni la giustizia sportiva è poco adatta a giudicare. Si arrischiano sentenze forzate e sommarie. E' giusto intervenire in presenza di abusi e irregolarità sportive. Ma le questioni contabili sono materia che la giustizia sportiva, probabilmente, non sa padroneggiare”.

– Perché indaga solo la Procura di Torino e solo sulla Juve?

“In realtà nel 2021 indagò sull'Inter anche la Procura di Milano, ma archiviò il procedimento. Io credo che anche altre Procure si muoveranno, se già non si sono mosse, sulle operazioni di altri club, cosi come ha fatto quella di Torino per la Juve”.

– Si parla per la Juve anche di retrocessione: converrebbe al calcio italiano un torneo senza la Juventus?

“La Juventus pesa per circa il 40% stante il suo grande bacino di utenza. Ovviamente il suo “peso” non deve diventare un alibi per eventuali illeciti, là dove vengano accertati. Personalmente mi piace la linea che sta seguendo la Premier che ha accusato il Manchester City di 100 violazioni. Che però saranno valutate e giudicate da un organo indipendente. In Italia la Procura federale si è mossa anche sulla spinta di un moto popolare ostile alla Juventus”.

– Come nel 2006 con Calciopoli?

“Le situazioni sono oggettivamente diverse rispetto al 2006. Ma che mezzo paese sia juventino e l'altro mezzo sia anti-juventino è assodato. Storia antica che abbisognerebbe di una valutazione sociologica e che va oltre il potere finanziario della Juventus, costola prima della Fiat e oggi di una importante multinazionale”.

– Il presidente della Lega De Siervo ha di fatto offerto un assist alla Juve, auspicando che il giudizio del Collegio di Garanzia del CONI possa mitigare la sanzione della Procura Federale contro la Juventus. Dovrebbe – come è stato chiesto – dimettersi?

“Il giudizio è personale. Anche quello di De Siervo. Diciamo che io avrei ... evitato”.

– Il Napoli sta stupendo per continuità e qualità: da semplice appassionato come te lo spieghi?

“Il Napoli ha congedato 5 top giocatori con contratti pesanti e li ha sostituiti per lo più con giovani che si sono rivelati vincenti. La società ha i conti in ordine. E questo pesa. Ma pesa anche il progetto finanziario e tecnico. Poi certamente Spalletti sta facendo una stagione straordinaria. Il Napoli è una squadra che ha trovato certezze nella filosofia del suo tecnico. E che ora si sente in missione”.




 

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