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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
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Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
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Cent'anni Primo / "Tardera' molto a nascere un altro come lui"

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Venerdì 14 Luglio 2023

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“La sua atletica allargata di obiettivi spettacolarità mondializzazione era diventata così importante da costituire un monito permanente al CIO (che aveva voluto legarsi Nebiolo facendolo membro ad honorem) il cui presidente, lo spagnolo Juan Antonio Samaranch, stimava il Nostro e lo temeva”.

Gian Paolo Ormezzano

Oggi Primo Nebiolo –, il più aperto ed abile e concreto dirigente che lo sport italiano abbia mai avuto –, compirebbe i cento anni. La domanda con cui ci pare di onorare e intanto chiarire il ricordo, fortissimo, è questa: cosa inventerebbe, cosa architetterebbe, diciamo pure cosa combinerebbe lui alle prese con risorse e prospettive e rischi del grande sport attuale, quello dello show permanente obbligatorio, del denaro arabo con puzzo di petrolio ad ammorbare tutto e tutti, quello del calcio ormai nell’intero mondo spupazzato all’insegna di quel denaro, dello sport “altro” che spera di approdare al festino, compresa l’atletica assolutamente non più leggera che Nebiolo tanto amò e che tira avanti con i suoi show in stadi deserti di gente e ultrapieni di pubblicità?

Nebiolo è morto nel 1999 a Roma, lui che si sentiva torinesissimo sino al punto di non soffermarsi sui natali a Scurzolengo, comune dell’Astigiano dove è sepolto, lui che a Torino ha inventato e da Torino ha fatto partire tanto dello sport moderno (quello di adesso è postmoderno, aiuto). Lui che a Torino era presidente di tutto quel che gli passava sotto gli occhi, compreso il Centro Universitario Sportivo, dove Riccardo Delicio è erede devoto e saggio, ed il proprio condominio, lui che a Torino nel 1959 inventò l’Universiade che rimane adesso il secondo evento al mondo, dopo l’Olimpiade, come offerta di tanto sport in tanti sport (a Torino l’edizione invernale 2025).

Il primo grande Primo comincia secondo noi nel 1959, quando a decidere che quella cosa si chiamasse Universiade furono tre persone: lui, Angelo Cremascoli suo amico e fratello in atletica praticata (salto in lungo e velocità) e Antonio Donat Cattin, uomo RAI, fratello di un noto ministro, che scelse per lo strambo manifesto dell’evento due gambe di podista, quelle del grande inglese Gordon Pirie. Nebiolo, che già presiedeva il CUS Torino, divenne capo e guru di quella federazione internazionale dello sport universitario che prese possesso di tutto lo sport studentesco dopo avere chiuso al meglio la guerra fredda sportiva fra capitalismo e marxismo.

Nebiolo si preparava intanto a comandare l’atletica mondiale anche ufficialmente (la nomina a presidente della federazione internazionale, la mitica IAAF sin lì inglesoide al massimo), come avvenne dal 1981. E si iscriveva alla corsa al CONI, prima di decidere, con grande fatica, che forse l’ente era troppo piccolo per lui. La lotta contro i successori di Onesti (Gattai ma soprattutto Carraro, oh Carraro) fu ad un certo punto abbandonata da Primo, sia perché spacciabile come piccola cosa “locale” per il personaggio mondiale che lui ormai era, sia perché decise che non poteva farcela. Testimoniamo che negli ultimi anni Nebiolo, acquartierato a Montecarlo dove confluiva tanto mondo dello sport, al CONI non pensava più, dopo averci pensato tanto.

La sua atletica allargata di obiettivi spettacolarità mondializzazione era diventata così importante da costituire un monito permanente al CIO (che aveva voluto legarsi Nebiolo facendolo membro ad honorem) il cui presidente, lo spagnolo Juan Antonio Samaranch, stimava il Nostro e lo temeva: un’atletica che allargasse ancora i suoi Mondiali (inventati da Nebiolo, ci mancherebbe, prima edizione a Helsinki nel 1983, e sempre musealmente usato troppo Mennea a poco Berruti) poteva fare concorrenza alla stessa Olimpiade: dal 1983 Nebiolo presiedeva anche l’ultima sua invenzione, la federazione degli sport olimpici estivi, ….

Nebiolo – ambiziosissimo, niente figli, Giovanna supermoglie – è stato proteiforme senza mai essere deforme. Quando in una inaugurazione di Universiade, a Kobe, Giappone, gli atleti della squadra azzurra sfilarono seriosissimi in boxer tricolore, i calzoni lunghi ripiegati su un braccio, cantando un inno goliardico ergo irriverente sul loro grande capo, in tribuna il principe ereditario gli chiese cosa dicevano e lui in inglese gli tradusse: “O Nebiolo del mio cuore!”.

Se ne è andato nel pieno delle cariche, di cuore malato, lasciando anche rovine, cosa inevitabile considerata la sua grandezza visionaria e la pochezza dei successori intenti a scannarsi per l’eredità dei suoi vasti possedimenti presidenziali. Molti non disperati, in Italia e nel mondo, per la fine di un personaggio che sembrava davvero infinito. A piangerlo, anche adesso, chi lo conobbe specie nelle virtù e si recita dentro quel Garcia Lorca che Nebiolo usava autoriferirsi: “Tarderà molto a nascere, se nasce, un altro come lui”.

 

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