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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
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Gianfranco Colasante
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I sentieri di Cimbricus / “Contributi per una nuova antropologia sportiva”

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Giovedì 1° Dicembre 2022


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Uno sguardo furtivo e interessato al prezioso manoscritto del professor Rudolf Siegfried von Aschenbach: incontri tra il narratore e il protagonista in un confronto in cui mai viene ricercato il clamoroso, il singolare, il grottesco.

Giorgio Cimbrico 

Chiamato recentemente in causa, l’aristocratico professor Rudolf Siegfried von Aschenbach interrompe un lungo silenzio. Dalla natia Prussia Orientale, in cui è tornato per l’estremo meriggio dell’esistenza (lagune salate regno del piviere, vento che piega la ginestra, boschi oscuri sul filo dell’orizzonte), in memoria di un’antica frequentazione invia un manoscritto che, negli anni, ha subito sviluppi ripensamenti, revisioni. E momenti sempre più vasti di sgomento.  

I “Contributi per una nuova antropologia sportiva” possono essere accostati a opere in cui l’analisi sugli strumenti della conoscenza e sul loro utilizzo – e sul loro inevitabile condizionamento - viene sottoposta a una raffinata elaborazione. Nella costruzione, von Aschenbach non nasconde di rifarsi a chi ha sempre considerato maestro e che proviene dalla stessa area geografica: Immanuel Kant. 

A dire il vero, è più la ragion pratica che quella pura ad aver la meglio, evitando così al lettore il non facile districarsi tra gli strumenti teoretici che permettono il passaggio da una prima percezione della realtà a graduali tappe evolutive. 

Von Aschenbach ha un vantaggio derivante dalle sue origini: adolescente, venne portato da Viktor, il barone suo padre, ad assistere ai Giochi del 1936. La famiglia non nutriva simpatie per il partito, sentimento condiviso da altre illustri casate prussiane. Il barone lo riteneva un viaggio d’istruzione e, per il figlio 14.enne, una sorta di esperienza iniziatica. Entrambi gli obiettivi vennero raggiunti. 

Benché appena uscito dall’infanzia, Rudolf aveva già una salda preparazione in campo storico e sportivo e, grazie ai rapporti che il padre aveva con vecchi amici che occupavano posizioni di un certo rilievo nel comitato organizzatore, il giovane visse l’Olimpiade dal di dentro e soprattutto iniziò a tessere una rete di rapporti personali destinati a durate stabilite dal fato. Quello con Long, fatalmente, risultò molto breve, Altri, meno noti, hanno prodotto storie affascinanti e rivelazioni sorprendenti: tocca a Gerhard Stock, olimpionico di giavellotto, intuire l’inizio della fine di Stalingrado inquadrando nel binocolo, ad inizio inverno del ’42, le ondate di T34 che avevano iniziato l’operazione Piccolo Urano per chiudere l cerchio attorno alla città sul Volga. 

Von Aschenbach ha avuto il privilegio di una lunga vita passata intrattenendo rapporti con i grandi campioni, raccogliendo fatti, messi a confronto con le narrazioni di prima mano di cui poteva godere. Ha anche viaggiato molto e con lo scorrere del tempo la sua opera è cresciuta sino ad assumere una dimensione che qualcuno ha paragonato alla biblioteca di Borges. Solo gli amici con cui ha una profonda consuetudine potevano consultare parti di questo “corpus” originale nel puro senso etimologico del termine. Una parte della residenza di campagna è riservata alla collezione di memorabilia, un argomento su cui Rudolf preferisce sorvolare per non alimentare leggende e trasformarlo in un conservatore di “sacre” reliquie. 

Quel poco che è stato a disposizione di un ristretto gruppo di amici e di estimatori testimonia di un’opera unica: incontri, destinati a durare nel tempo, tra il narratore e il protagonista in un confronto in cui mai vene ricercato il clamoroso, il singolare, il grottesco. Vite che si confrontano, quella di chi narra e di chi vene narrato. Sono centinaia, scritte in una minuziosa grafia. Il blu dell’inchiostro si è illanguidito. “E di recente si è illanguidito anche il mio pensiero”, ci ha fatto sapere in una delle sue rarissime telefonate. La sua voce sembrava vacillare come sotto uno di quei venti d’ottobre che sferzano la costa della sua Pomerania, agitando i canneti, sconvolgendo i rami dei meli, consigliando i cavallanti a portare al coperto le bestie. 

“Da anni, ormai, mi trovo alle prese con un fenomeno che misuro come sempre più dilagante. In un’età molto avanzata, ho avuto a che fare con giovani interessanti, dalle doti umane non meno spiccate di quelle fisiche. E ho assistito, in molti casi, a metamorfosi, a quella che io chiamo accettazione di un nuovo status. Tutto questo, naturalmente, ha origine da uno scenario radicalmente mutato. Ho avuto in sorte di vivere varie ere: lo sport come diletto, meraviglioso quando veniva interpretato con leggerezza; lo sport come strumento usato dal potere, trasformato in propaganda, in simbolo di superiorità, dall’una e dall’altra parte. Ma anche questa fase – che nella sua stortura conteneva ancora qualcosa della vecchia visione - è stata ormai superata da una presa di potere di padroni senza volto alle cui tentazioni in fatto di allettamenti, di notorietà, di denaro, è impossibile resistere”. 

La voce di Rudolf si è fatta sempre più fioca. Ha pregato di continuare l’indomani questa conversazione che, per sua stessa ammissione, si era trasformata in monologo, affaticandolo. L’indomani è giunto senza una sua chiamata. Potrei provare a mettermi in contatto con Volker, il suo maggiordomo, ma se quel telefono suonasse a vuoto?  

 

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