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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
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(le oltre 400 testate dimenticate)





Duribanchi / Tra le storie della settimana, scelgo Tiger

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Martedì 29 Novembre 2022

 

tiger 

 

Una settimana di passione, tra indecenti presunzioni e tragedie annunciate. Ma anche con uno squarcio che ha il sapore di una favola: quella di Tiger, il cavallo che visse tre volte. Intanto, sul turbinoso fronte della Juventus, spunta una vera signora ... 

Andrea Bosco

Molti anni fa per un articolo sulla guerra coloniale americana cercavo un saggio Einaudi edito subito dopo il 1945 dal titolo “Come l'America diventò nazione” di Francis Franklin. Una visione non convenzionale di quel periodo storico, nella collana “Il Politecnico” che avrei trovato (con vera gioia da modesto bibliofilo) alcuni anni dopo. Visto che avevo all'epoca una urgenza, chiamai la Einaudi a Torino. Ancora non mi occupavo di libri e non conoscevo persona presso quell'editore. Furono gentili e nel giro di qualche giorno mi mandarono le fotocopie del piccolo saggio al quale ero interessato.

La Einaudi ha fatto parte sempre della mia vita. Al liceo la sorella di un mio compagno mi regalò una copia de “Il giovane Holden”. Einaudi mi fece scoprire l'antologia “Spoon River” di Masters. Gli scritti di Piero Gobetti. L'incredibile “Shakespeare”, saggio di Murray pubblicato nel 1953. Oltre ad una sterminata lista di titoli che qui sarebbe impossibile declinare anche solo per difetto. Prima di Natale mi farò un regalo: la biografia di Auster su Stephen Crane, misconosciuto autore de “Il segno rosso del coraggio”, uno dei testi più aspri e dolorosi sulla guerra civile americana. Poi non comprerò mai più un libro Einaudi. Il motivo è semplice e si chiama Michela Murgia. Una scrittrice che reputo un insulto alla decenza letteraria. Una talebana del pensiero, che Einaudi pubblica.

Diffido chiunque dal pensare che il mio proposito nasca da una qualsiasi idea di censura. C'è libertà di pensiero e di espressione: lo garantisce la Costituzione. Quindi è esercizio liberale accettare qualsiasi attività culturale anche non convenzionale. Ma nel caso di Murgia non si tratta di idee. Nel caso di Murgia si tratta di divulgare e di iniettare nelle coscienze di chi legge una indecenza grammaticale che perseguita la lingua italiana. Con la pretesa di sviluppare un linguaggio “corretto” nel senso di “inclusivo” rispetto a generi e minoranze. La maledetta “schwa” che interrompe le parole e che persino un liceo di Torino (senza che il ministero competente abbia fatto un plisset) ha avuto la temerarietà di adottare.

Nel suo ultimo lavoro (oltraggioso definirlo “saggio”), “God save the Queer, Catechismo femminista” edito appunto da Einaudi dove si straparla di “femminist*” e di “attivist*”, la cattolica Murgia espone i propri demoni rispetto a un Dio “in nome del quale si inginocchia un sistema religioso così patriarcale e inflessibile al cambiamento culturale”. Il quid non è la fede di Murgia, e neppure i suoi tormenti. Non è una Chiesa rispetto alla quale l'uomo comune si chieda per quale mai motivo le monache non possano – ad esempio – amministrare i sacramenti o dire messa. Per quale mai motivo la Trinità escluda la figura femminile collocando accanto a Padre e Figlio, uno Spirito Santo dai contorni incomprensibili anche per il più devoto dei fedeli. Non è quello.

ASTERISCHI – E neppure l'ego di Murgia talmente accentuato da arrivare a rilevare la gradualità di “fascismo” che esisterebbe in ognuno di noi (saggio precedente, sempre edito da Einaudi) ergo – si immagina – anche in se stessa. E' l'idea perversa di Murgia di essere una “crociata”, con missione da compiere: quella di rivoluzionare la lingua italiana anche a costo di mostruosità lessicali. Murgia sproloquia di “rettilian3”. E di “terrapiattist3“. Perché se “quella cristiana non fosse una fede di cui si può rendere ragione, cosa la distinguerebbe da un complotto?”. Bella domanda che non trova risposte.

Parli con il prete più “liberal” del mondo e ti spiega che la “fede” non abbisogna di dimostrazioni. Che il Padre Eterno non deve “dimostrare”. Che caso mai sono gli uomini a doversi dimostrare degni dell'infinito amore del Padre. Che per la limitata ragione umana, anche ad avere il capoccione di Einstein, risulta un rompicapo senza soluzione. Ma che vivaddio per essere accettato o negato non ha bisogno di asterischi. Quelli sono “lebbra”. Non sono graffiti di Basquiat o di Haring: sono scarabocchi di scappati di casa che imbrattano ogni angolo della città per “marcare” il territorio. Come i cani che pisciano ad ogni angolo delle strade per comunicare agli altri cani che là hanno pisciato loro. Fino a quando non arriva il cane prepotente che una volta annusato l'angolo, ci piscia sopra, per sopraffare con la propria, la pisciata altrui.

Questo, sono gli asterischi: una pisciata. Con i quali l'eccesso di “inclusività” (parola del cactus che fa il paio con “resilienza”, termine abusato dall'avvocato del popolo) è talmente diffuso da portare a discriminazioni. Ellenismo, Romanesimo, Cristianesimo latino, Cristianesimo Medioevale, Umanesimo, Riforma, Illuminismo, Liberalismo, Socialismo, Marxismo, Fascismo, Liberismo: che pesce è Michele Murgia? E' un pesce assassino: della lingua italiana. E non importa se persino la celebrata Accademia è arrivata a sdoganare i beccanotti sul congiuntivo che nel “parlato corrente” ormai quasi tutti tendono a “sterminare”: con Murgia si è andati oltre.

Con Murgia si è arrivati al delirio. Non ho voglia di entrare nei dettagli: mi rifiuto perché mi repelle. Ma con Murgia persino il neutro a sostegno di questa demente crociata viene attribuito anche a sostantivi che hanno forma unica. Non chiedo (come ha fatto Murgia, firmando un manifesto, assieme a suoi sodali) di togliere il lavoro (ergo ogni forma di pubblicazione) ad un critico letterario dalla pungente tastiera. Questi sono sistemi bolscevichi e fascisti che purtroppo infettano la “cultura italiana”. Che spiegherebbe, uno come Cacciari “da tempo non esiste più”. Un vecchio socialista che ben conosceva l'ambiente sosteneva che la cultura italiana era diventata la “cultura della fritola”. Lascio all'immaginazione ogni tipo di interpretazione. Per me il sessantennale rapporto con la Einaudi (mio padre comprava Einaudi per se stesso e per me) termina qui. Per colpa di Michela Murgia. Ma indubbiamente anche per responsabilità di chi oggi Einaudi dirige. Gente che Elio Vittorini avrebbe dirottato velocemente alla cassa. Vittorini che Murgia avrebbe congedato con le parole di Fedro nella favola “La volpe e la maschera”. Nella quale si spiega: “O quanta species – inquit – cerebrum non habet”. Che maestoso aspetto (disse) ma è senza cervello. La maschera della stupidità.  

Leggere “Illusioni perdute” di Balzac è consegnarsi ai peggiori vizi del giornalismo. Quello della Parigi di Balzac non aveva a disposizione gli strumenti di cui oggi dispone la libera informazione. Ma oggi, l'informazione ha ereditato i peggiori vizi descritti dallo scrittore francese. Per dettagli su come funzioni la letteratura, la sua divulgazione, la prostituzione portata a sistema con amici che sostengono gli amici e stessi gli amici degli amici in un affresco dai contorni mafiosi dove ad essere truffato è il lettore, consiglio il debordante articolo di Luigi Mascheroni (Il Giornale, 28 novembre 2022) che prende spunto dal “prezzemolo” Chiara Valerio ma che appare surreale come un romanzo di Italo Calvino nella descrizione di quanto avvenga dalle parti dell'editoria e del giornalismo.

“ Funziona così “: Chiara Valerio chiama Teresa Ciabatti, la quale poi ricambia intervistandola per quattro pagine su 7 del Corriere della Sera, a pubblicare nella collana “Passaparola” che dirige per Marsilio, dove ospita tra gli altri sia Carlotta Vagnoli (con la quale colloquia su l'Espresso e che presenta al Salone del Libro di Torino) sia Michela Murgia (dalla quale viene intervistata su l'Espresso e insieme alla quale mette in scena lo spettacolo “Istruzioni per l'uso” al teatro Carcano di Milano, la cui direzione artistica è di Lella Costa), sia Annalisa De Simone che a sua volta invita Chiara Valerio e Teresa Ciabatti all'Italian Pavillon per la Mostra del Cinema di Venezia, istituzione con cui lavora Chiara Tagliaferri (moglie di Nicola Lagioia e amica di podcast di Michela Murgia e dove quest'anno era in giuria Nadia Terronova, mentre su Radio3 Chiara Valerio invita nella sua rubrica “L'isola della sera” sia Carlotta Vagnoli, sia Michela Murgia, sia Chiara Ciabatti e tutte assieme scrivono un racconto per l'antologia Le Nuove Eroidi e uno per l'antologia “I figli che non voglio” tirando dentro anche Nadia Terranova e Loredana Lipperini.

E così mentre su Repubblica e la Stampa si recensiscono a vicenda – la Murgia scrive del libro della Ciabatti la quale invece parla di quello della Valerio che viene intervistata dalla Lipperini – tutte poi scrivono dei libri che escono da Solferino, cinghia di trasmissione della sinistra di penna e di potere. Io mi fermo qui perché sono in debito di ossigeno. Ma Mascheroni continua per un'altra pagina elencando fatti e misfatti della sinistra (in tutti i sensi) culturale italiana. Protagoniste sempre loro. Quelle che hanno declinato Gramsci alla perfezione. Non per “elevare” il popolo da portare al potere attraverso la cultura. Ma per elevare ed arricchire se stesse. Come spiegava Balzac nel suo profetico romanzo. Vietato pensare sia così solo per donne. Con gli uomini è peggio. Molto peggio.

CONDONI – “Vergognoso come una volpe presa da una gallina” spiega La Fontaine nella favola “La volpe e la cicogna”. Regalate La Fontaine a Giuseppe Conte e a Matteo Salvini, il “gatto e la volpe” (erano in “società”) che non hanno mai letto “Pinocchio” e mai hanno ascoltato Edoardo Bennato e che adesso si dicono estranei al “condono” fatto nel 2018, inserito “ad minchiam” nel decreto legato alla tragedia del Ponte di Genova (Toni Nelli dove sei? In vacanza, mica le potevo interrompere per il crollo di un ponte!) e che portò ad Ischia a far richiedere a 28.000 persone condoni per abuso edilizio. “Abbiamo solo accelerato le pratiche” ha spiegato il Tintura ospite di Lucia Annunziata su Rai-3. Come accelerato, Annunziata? Mentitore privo di vergogna: l'articolo 25 di quel dispositivo parla esplicitamente, nero su bianco, di “condono”.

Menzogne ha urlato Matteo Renzi, così come aveva fatto a suo tempo, sul tema, in Parlamento. Quanto a Salvini ogni cosa fu fatta evidentemente “a sua insaputa”. Lui se c'era, dormiva. A questi due, oltre che ai sindaci che non “vedono” sorgere le case in una notte (su terreni che non sono di proprietà, senza pagare alcun onore urbanistico, senza preoccuparsi del sistema idrogeologico, delle disposizioni anti-sisma) oscene favele di stampo brasiliano bisognerebbe chiedere conto. Nel momento della pietas per le vittime dell'ennesima sciagura (i tre canali di scolo presenti nell'isola non erano stati manutentati da decenni, uno addirittura interrato come era stato fatto a Genova e in altri luoghi del paese) che poteva essere evitata, Legambiente scrive questa scioccante verità: mezza Ischia, su una popolazione di 60.000 abitanti, ha abitazioni abusive.

Tradotto: esiste al Sud uno stato nello stato. Non è che il Nord sia migliore del sud. E' che nel meridione dell'Italia la legalità e lo stato proprio non esistono. Se mai sono esistite. Ha rivelato un giudice: ogni volta che un sindaco viene a discutere l'ingiunzione per abbattere un edificio abusivo, viene per perorare un condono, non per disporsi a procedere dar luogo. E il pretesto è sempre il medesimo: bomba sociale. Tutto al Sud è una “bomba sociale”. Case, reddito, lavoro, criminalità, legalità, sanità, immigrazione, infrastrutture. Non c'è settore che non sia a rischio “bomba sociale”. E quindi la risposta alle esigenze (sociali) è che una parte del paese si faccia carico “per sempre” delle difficoltà della parte che non ce la fa ad emergere al di sopra del guano.

Avevo sette anni: seconda elementare, scuola “Bernardo Canal” di Venezia. Già allora la maestra, signorina Maritan Taboga, parlava della “questione meridionale”. A stento sapevamo leggere e scrivere. Ma avevamo ben presente che al Sud dell'Italia esisteva una “questione”. Ho studiato a lungo la cosa all'università, faceva parte del mio esame di geografia: Salvemini, la geografia del sottosviluppo di Yve Lacoste, le cose folli perpetrate dai piemontesi nel Meridione dopo la spedizione dei Mille di Garibaldi. E poi gli sprechi, la montagna di miliardi innescata dai governi di centrosinistra e dissoltisi in mille rivoli di mala gestione, mazzette, collusioni con le mafie: la famigerata Cassa del Mezzogiorno, che appariva una cornucopia e in realtà era uno sprofondo.

Pace alle vittime dell'ennesima sciagura. Stop agli sciacallaggi e alle speculazioni politiche. Ma porca la pupattola, in Puglia solo il 4% dei edifici abusivi è stato abbattuto. Va meglio in altre regioni: il top in Sicilia con il 20%. Ma al Nord si sfiora il 37 %. Che è sempre poco. Ma che in proporzione è quasi il doppio rispetto alla regione meridionale più “virtuosa”. E' tempo che qualcuno paghi. Altrimenti, ricoperte di terra le bare, tra un anno, massimo due, si tornerà a piangere. Memento: le case abusive di Ischia che erano state sottoposte a verifica edilizia e messe in sicurezza hanno (tutte) resistito. Quelle abusive si sono sbriciolate. Perché, pueblo ignorante, che sei cresciuto con Don Milani (magari aveva ragione quel prete, anzi ce l'aveva senza dubbio: l'Iliade tradotta da Vincenzo Monti è una insopportabile palla che a nulla serve) senza merito a scuola finisce che non sai, non conosci le cose più elementari. Tipo che se l'acqua non trova un alveo, non, trova sfogo, il territorio implode, visto che l'acqua non la fermi. E l'eccesso di acqua produce fango. E il fango distrugge le case abusive che hai costruito senza criterio e fa morire le persone. Serve conoscenza per sopravvivere: chiamatelo se volete “merito”.

TERZA STORIALa terza storia della settimana è una bella storia. Scollinando tra le mille miserabili che parlano di guerre, di morte, di diritti violati, del migrante diventato deputato con gli stivali, la cui famiglia truffava e maltrattava i migranti, del ragazzo bullizzato a scuola che la scuola non vuole più in classe “per la sua sicurezza” (il mondo a testa in giù, i bulli in classe, la vittima a casa) di disgusto umano per una società senza ormai alcun ritegno. Hanno trovato i resti della povera Saman. Il padre mandante dell'omicidio ancora dal Pakistan ha blaterato che sua figlia “è viva”. Della madre complice dell'assassinio della propria carne nessuna traccia: svanita.

Tiger è un cavallo, un trottatore. Nel 2012 l'ippodromo di Firenze che lo gestisce, va in fallimento. Duecento cavalli vengono venduti ma non Tiger. Che sopravvive con il poco fieno del suo box e con i suoi stessi escrementi. Fino a quando un ragazzo autistico si accorge di lui e segnala la cosa ad un amico. Lo vanno a prendere e lo portano a Casale sul Sile, nel trevigiano, da Paolo Borin un uomo di 73 anni che sussurra ai cavalli e che ha un maneggio. Ma Tiger che ha perso 70 chili per denutrizione, è diventato ombroso, difficile, diffidente. Borin con pazienza riesce a farlo tornare quello di un tempo. Lo fa correre nuovamente e Tiger vince anche qualche gara. Fino al 2019 quando l'Acqua Granda (ora che funziona il Mose la marea è stata arrestata) devasta mezza Venezia e un amico della signora Kristine Donati, chiede di portare in discarica alcuni cuscini zuppi d'acqua di mare.

Kristine si avvia ma sbaglia l'uscita dell'incrocio e si ritrova nel maneggio di Borin. La signora da tempo cerca un cavallo per la figlia tredicenne Alisè che monta da quando ha sei anni. Borin è un uomo che oltre ai cavalli sa pesare le persone. “Un cavallo glielo regalo” dice a Kristine. Il cavallo è Tiger che con Alisè stringe un rapporto di quelli che siamo abituati a vedere nei film. Tiger ha 12 anni e non ha mai saltato, solo trottato. Ma per Alisè il cavallo fa qualsiasi cosa. E comincia a saltare. E a vincere anche in specialità che non aveva mai praticato. La storia di Tiger, su spinta del governatore del Veneto Zaia, è diventato un libro: “L'improbabile gioia”. La storia stupendamente raccontata da Alfio Sciacca sul Corriere della Sera dell'amore viscerale tra una ragazzina e il suo cavallo (Alissè tre volte alla settimana con la mamma fa un'ora di auto per andare da Venezia a Casale sul Sile) a montare. La storia di Tiger: il cavallo che visse tre volte.

JUVENTUS – La quarta storia arriva mentre stavo per congedare il mio lavoro. E dal punto di vista cronistico è da prima pagina. Si è dimesso l'intero Cda della Juventus. Il presidente Andrea Agnelli aveva schivato la misura cautelare richiesta dalla Procura che sta indagando sulle irregolarità contabili della società. Giusta o sbagliata che fosse, una richiesta del genere non poteva restare senza risposta. Che è arrivata e farà un rumore immenso. La Juve non è solo una società di calcio. E' la società che da 100 anni ha una sola proprietà: la famiglia Agnelli. E Agnelli nel mondo significa FIAT (oggi Stellantis), significa Ferrari, Alfa Romeo, Lancia. Significa molte cose.

Nel calcio significa una società che recentemente ha vinto in 12 anni di presidenza Agnelli 9 scudetti di fila e complessivamente quasi il doppio dei titoli italiani rispetto alle concorrenti milanesi, romane, partenopee. Le dimissioni del CdA (il prossimo si insedierà a gennaio) consentiranno alla Juventus di difendersi meglio in tutte le sedi. Non credo ci saranno sconquassi a livello calcistico. Una Juventus penalizzata eventualmente dalla giustizia sportiva non converrebbe al calcio italiano. Specie ora che il calcio italiano è con le pezze al sedere. Sarà certamente fatta giustizia in tutte le sedi se ci saranno gli estremi. La tentazione di affossare la Juventus come nel 2006 ci sarà: le “sferruzzatrici” sono già al lavoro. Ma non converrebbe: né al calcio, né all'economia italiana, né alla stampa, né alle televisioni. Piaccia o non piaccia il calcio per una rilevante quota parte, in Italia, si chiama Juventus. Questo non significa invocare alcuna impunità. Significa essere realisti. Gravina e Malagò non si possono permettere un'altra Calciopoli. Se mai la Procura di Torino dovesse veleggiare verso gli scogli. Insomma: occhio alla Sirene.

Chi sarà il nuovo presidente? Da tempo si vocifera sarà una donna. E gli indizi potrebbero portare ad Evelina Christillin, manager affermata, già domina del Museo Egizio di Torino, inserita nell'ECA, tifosa della Juventus: una di famiglia. Ma queste dimissioni sono anche la fine di un'epoca. Quella degli Agnelli. Si apre un'era nuova, quella del ramo della famiglia che porta il nome degli Elkan. E l'azionista di maggioranza, John Elkan, ha una sorella che sembra fatta su misura per l'incarico. Si chiama Ginevra, è una quarantenne, è inserita in sei prestigiosi consigli di amministrazione. Conosce le lingue. Conosce la finanza, da Christie a Cartier. Conosce il business. E' produttrice e regista cinematografica. Conosce il bello visto che gestisce la prestigiosa Pinacoteca della Famiglia. E' sposata con il principe Giovanni Gaetani dell'Aquila D'Aragona dal quale ha avuto tre figli, E cosa che non guasta, è donna dal grande fascino.

Una donna presidente non sarebbe una novità assoluta per il calcio italiano. Ma una donna, una Elkan alla presidenza della Juventus, sarebbe destinata a provocare un terremoto nel calcio. E in Borsa, il titolo della Juventus, potrebbe volare. La Juventus è una vettura complicata da pilotare. Ma di Ginevra Elkan si dice sia una che sa come si vince. Io dieci euro sulla sorella di Yaki alla presidenza della Juve me li giocherò. E altri 10 me li giocherò sul ritorno di Alex Del Piero in società. L'ex giocatore che vive nelle mie vene mi suggerisce di “puntare“.

 

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