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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
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Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
dall’ Ottocento al Fascismo
(le oltre 400 testate dimenticate)





Abbecedario / La Quercia che non voleva morire

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Domenica 12 Giugno 2022

 

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Sento e leggo spesso di “valori olimpici” e di “heritage”. L’esperienza insegna che si tratta di belle parole messe in fila senza calore e alcuna convinzione. Motivo per cui vi propongo questa favola dei giorni nostri che nel ruolo della principessa vede una vegliarda e malandata quercia che si ostina a voler vivere. Anche con l’aiuto di tanti amici. Di altri mondi.

 

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Gianfranco Colasante

Tra queste due foto intercorrono 86 anni. La prima – presa il 2 agosto del 1936 – mostra il 23.enne californiano Cornelius Johnson sul podio dei Giochi di Berlino dopo la vittoria nel salto in alto ottenuta con la misura di 2.03, davanti a Dave Albritton e Delos Thurber, fermi a 2.00. (Un mese più tardi Johnson e Albritton stabiliranno a New York un nuovo “mondiale” superando entrambi l’asticella posta a 6 piedi, 9 pollici e ¾, come dire a 2.076).

Con la sinistra “Corny” regge la piantina di quercia da un anno di vita che gli organizzatori assegnarono a tutti i vincitori di medaglie d’oro (e del primo premio nei concorsi d’arte) perché la riportassero in patria per farla crescere “in onore della vittoria!”, come si leggeva sulla piastrina che le adornava.

E così fece Johnson che – tornato alla periferia di Los Angeles dai genitori Shadrick e Pearl – la mise a dimora nel piccolo giardino di casa, al n. 1156 di South Hobert Street. Senza aver dato eccessiva importanza allo sgarbo ricevuto da Hitler il quale, dopo aver assistito alla sua vittoria, aveva lasciato lo stadio: si pensa per non dovergli stringere la mano come aveva appena fatto con i tre finlandesi che poco prima avevano monopolizzato il podio dei 10.000. Costringendo i capi del CIO al loro storico intervento: o a tutti o a nessuno. D’altra parte, come riferiscono i sacri testi, come avrebbe potuto prendersela solo per una mancata stretta di mano, dopo che “had spent a lifetime being snubbed by caucasians in his home country?”.


Mentre quella pianticella – nata nei boschi dello Schleswig-Holstein – cresceva senza problemi malgrado l’angustia del terreno, dopo l'affronto di Pearl Harbour Cornelius si arruolò nei marines andando a combattere sul fronte del Pacifico. Sopravvissuto e congedato, restò nella marina mercantile, imbarcato come cuoco ma andando incontro a un tragico destino che lo uccise nel 1946, forse a causa di una violenta forma di epilessia. Ma un male che neppure l’autopsia riuscì a dimostrare.

La nostra seconda foto mostra la quercia così com’è ai giorni nostri. Il giardinetto e la casa che la ospitano rimasero di proprietà della famiglia Johnson fino al 1994, passando poi di mano fino al 2019 quando furono acquistati per poco meno di un milione di dollari da una società di costruzioni che intendeva abbattere casa e quercia per costruire alcuni appartamenti di pregio. Un destino che pareva segnato, fino a che, … e qui ha inizio la favola di cui al nostro titolo.

Un passetto indietro. A Berlino vennero distribuite 130 piante di quercia ai vincitori olimpici e 11 ad artisti e letterati dei concorsi d’arte. Di molte si sono perse le tracce. Ma non di tutte. Tra i più attenti alla loro sorte fu proprio l’eroe di Berlino, quel Jesse Owens – a cui Hitler non rifiutò mai la mano (semmai lo sgarbo lo ricevette in patria, quando alla Casa Bianca lo fecero entrare dalla porta di servizio) – che ne aveva ricevute quattro. A differenza delle sue medaglie, le quattro piantine ebbero in sorte vita lunga e rigogliosa: due – quelle avute per i 100 e i 200 – svettano oggi nel parco della Ohio State University, alma mater dell’antilope nera; quelle per il lungo e la 4x100 sono interrate a Cleveland, sua città natale, e fanno ombra agli studenti della James Ford Rhodes HS.

In California, oltre a quella piantata dal giovane “Corny”, vivono alla SC University le querce ricevute dal discobolo Ken Carpenter e dagli staffettisti veloci Foy Draper e Frank Wykoff; la quercia di Forrest Towns, fulmine degli ostacoli alti, è all’Università della Georgia; quella riportata da John Woodruff – l’ottocentista dalle lunghe leve che Mario Lanzi non riuscì ad agguantare sul filo – vive nel giardino della High School di Connellsville, in Pennsylvania.

Ciò detto, possiamo riprendere la nostra favola, una favola che ha molti narratori – figlia di quella cultura sportiva anglo-sassone del tutta ignota dalle nostre parti –, ripartendo dal 2005. Anno nel quale una nota fotografa d’arte neo-zelandese, Ann Shelton, avviò un lungo safari fotografico alla ricerca delle querce di Berlino, andandole a scovare e fotografare negli angoli più remoti, come la pianta rintracciata in una lontana foresta finlandese dove – alla base di quella ch’è ridotta a un tronco spoglio – riposa Uhro Karhumäki, vincitore a Berlino del concorso di letteratura. Tra quelle foto/testimonianze figurava anche la quercia di Cornelius. Di quel viaggio e di quelle immagini “ritrovate”, riferì due anni più tardi un articolo del Los Angeles Times che sollevò curiosità e interesse.

Ancora qualche anno e a riprendere il filo della favola provvide – probabilmente a seguito della doppia assegnazione olimpica ‘24/’28 che riportava per la terza volta i Giochi al Coliseum – la curatrice del “California African American Museum”, Susan Anderson, una studiosa che propose alla municipalità della Città degli Angeli di impegnarsi per tutelare quell’ultimo lembo di eredità olimpica: la quercia di “Corny” che pareva avere i giorni contati. Una provocazione caduta su un terreno fertile e capace di porre in moto una valanga, alimentata da giornali e molti blog culturali. Fino a che – in un paese che ha la fortuna di vivere senza l’opprimente incombenza dei TAR – il problema è arrivato sui tavoli della “Cultural Heritage Commission” e dell’”Office of Historic Resources” di Los Angeles.

Conseguenze? Due mesi fa, lo scorso 14 marzo, il “Building and Safety”, l’organismo municipale addetto, ha ritirato il permesso di demolizione e di ricostruzione già rilasciato, “before a terrible mistake is made”, come si legge sulla motivazione. La quercia – che a quanto si sa non se la passa molto bene, abbandonata com’è stata per anni – è (per ora) salva come la memoria dello sfortunato “Corny”. Sul bagnato sono rimasti i responsabili della società di costruzioni – la KLD Investment – che, dopo aver speso 927.000 dollari per acquistare la proprietà, in una pacata lettera chiedono cosa poter fare o aspettarsi. In attesa della risposta, intanto sul web è stata avviata una raccolta fondi, capofila la ricca LA84 Foundation e l'altrettanto potente LA Neighborhood Land Trust, per raccogliere la cifra necessaria ad acquistare terreno e quercia e poterli destinare a parco olimpico.

Questa, a grossi tratti, è la favola della quercia di “Corny”. Che, ove ci fosse un interlocutore, solleciterebbe degli interrogativi sulla sorte delle otto querce riportate in Italia da Berlino. Di una, la più nota, vinta da Ondina Valla, si sa che venne interrata all’antistadio del “Littoriale” venendo presto a morte per smog e incuria. Ma che – caso raro – fu sostituita da una più giovane e rigogliosa (si ignora da dove preveniente) e ri-piantumata dalla stessa Valla con l’assistenza di Sara Simeoni nel giugno del 1997, un decennio prima della scomparsa della “fidanzata d’Italia”.

E le altre? Ricordo solo d’aver visto sulle pendici del Campidoglio – molti anni addietro – una iscrizione su marmo dedicata ai vincitori dei tornei a squadre di fioretto e spada. Ma non ricordo se nei pressi c’era ancora una quercia, o semmai due. E le altre? Purtroppo, come detto, non esiste in Italia alcuna istituzione cui rivolgere questa domanda. E attendfersi una qualche risposta. Contentiamoci allora della favola dell’attempata quercia di “Corny” e auguriamole lunga vita.

 

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