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I sentieri di Cimbricus / L'uomo che rese possibile l'impossibile

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Venerdì 8 Aprile 2022


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Va all’asta la medaglia d’oro dell’uomo che vinse la gara che non avrebbe mai dovuto vincere: i 100 metri ai Giochi di Londra. Dopo che da primatista mondiale dei 110 era stato eliminato ai Trials ed aveva dovuto ripiegare sullo sprint.

Giorgio Cimbrico

Per la prima volta va all’asta una medaglia d’oro olimpica dei 100 metri: valutazione base, 120.000 dollari, stilata dalla californiana Ingrid O’Neil Auction Sale. “Le altre le teniamo – ha detto Terri, figlia di chi la conquistò – e speriamo che quella che mettiamo in vendita vada a chi saprà apprezzarla. Un museo sarebbe l’ideale”. Sarebbe anche un modo per vederle: suo padre, racconta Terri, non aveva allestito in casa un “sacrario”. Le tirava fuori se un ospite, un amico glielo chiedeva.

Ma la notizia è un’altra: quella che va all’asta è la medaglia d’oro che Harrison Dillard, detto Bones, “Ossa”, non avrebbe dovuto vincere. Una storia che comincia a Cleveland e finisce a Cleveland, 96 anni dopo. Tra i grandi “Ossa” è stato uno dei più longevi.

“Me lo diceva anche mia madre: Harrison, come sei magro. Pensava fossi rachitico”. E così, da peso leggero, è arrivato a quell’età e non fosse stato colpito tre anni fa da quel cancro allo stomaco che ha finito di prosciugarlo, avrebbe puntato al traguardo del secolo.

Dillard, classe 1923, era l’uomo che rende possibile l’impossibile, l’uomo che morde il cane, quello che rompe un vaso in mille cocci, lo rimette assieme e non si vede neppure un segno. L’uomo del miracolo: non è un caso che a ispirarlo sia stato Jesse Owens. Secondo nome, Cleveland.

Cleveland – appunto –, estate del ‘36, parata per onorare l’eroe di Berlino. “Ossa” ha 13 anni ed è con un gruppo di amici ad applaudire. Jesse li vede, ammicca, fa un sorriso. “Ossa” è affascinato: “Voglio diventare come lui”. Statisticamente, impresa riuscita: quattro medaglie d’oro alle Olimpiadi. Non tutte in una volta come Jesse ma non è il caso di sottilizzare.

Il miracolo e le sue premesse: tra il ’47 e il ’48 Dillard vince 82 gare di fila e diventa primatista mondiale dei 110HS, il primo a 13”6, a Lawrence nell’aprile del ’48, migliorando il 13”7 fuori dal tempo, centrato ai Bislett di Oslo dopo i Giochi di Berlino, dal bel Forrest Towns e eguagliato cinque anni, più o meno ufficiosamente, da Fred Wolcott.

Prime crepe ai campionati americani, a Milwaukee: perde i 100 da Barney Ewell e i 110 da William Porter. Una settimana dopo, Trials a Evanston, Illinois. Combina il disastro che finirà per trasformarlo in una specie di fenice, capace di rinascere dalle proprie ceneri: prende in pieno il primo ostacolo, il terzo, il quarto. “Perso il ritmo, non ci ho capito più niente”. I tre biglietti per Londra sono per Porter, Scott e Dixon che così occuperanno il podio olimpico. Harrison un posto lo aveva rimediato sui 100: terzo dietro a Ewell – che in 10”2 aveva eguagliato Owens –, Davis e il panamense LaBeach, e a Mel Patton, 10”3. Lui 10”4.

E’ il 9 luglio. Ventidue giorni dopo “Ossa” è campione olimpico dei 100: prende un grande avvio, tiene, viene rimontato da Ewell che è convinto di avercela fatta. Attendendo l’esame del photofinish, LaBeach si avvicina: “Guarda che non hai vinto tu, ha vinto Bones”. Tutto confermato un paio di minuti dopo. Barney abbraccia “Ossa” e l’uno e l’altro vengono avvolti dall’applauso degli 83.000 di Wembley. Tempi: Dillard 10”3, Ewell, LaBeach e lo scozzese McCorquodale 10”4, Patton 10”5, McDonald Bailey, britannico di Trinidad, 10”6.

Tre giorni dopo è in terza frazione. Gli USA vincono con margine largo sui britannici ma un giudice segnala che il primo cambio, tra Ewell e Lorenzo Wright, è avvenuto fuori settore. Squalificati e riqualificati dopo una giuria d’appello lunga come un conclave: tre giorni per esaminare filmati che non sono ad alta definizione.

Quattro anni dopo, a Helsinki, Harrison conquista l’oro nei “suoi” 110HS, ma Jack Davis gli dà filo da torcere: 13”7 per l’uno e per l’altro. Qui, in staffetta, gli tocca la seconda frazione, lanciato da Dean Smith. A chiudere Lindy Remigino (oro nei 100 nel più serrato arrivo della storia) e Andy Stanfield. Gli esordienti sovietici finiscono a due decimi.

Prima del miracolo, “Ossa” si era fatto 32 mesi di naja, da combattente vero, risalendo l’Italia nel 92° reggimento di fanteria per uomini di colore, i “Buffalo Soldiers”. Dopo la guerra George Patton, il generale d’acciaio, lo vede vincere quattro gare in un pomeriggio ed esclama: “E’ il dannato miglior atleta che abbia visto in vita mia”. Per Dillard il migliore era e rimaneva Jesse, ma anche di sé stesso aveva una discreta stima: “Jesse e io ben allenati avremo dato filo da torcere a Bolt”.

Chi comprerà quella medaglia metterà le mani su un tesoro di storie. Senza prezzo.

 

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