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Uno scatto, una storia / “Perche' Sir Roger non morira' mai”

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Venerdì 24 Dicembre 2021

 

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Un volto, trasfigurato nello sforzo, nel momento più alto, nel nitore assoluto della condizione, un attimo che pose fine alla giovinezza aprendosi all’età della consapevolezze e degli obblighi. Altri tempi, altri campioni. Un altro mondo.

Giorgio Cimbrico

La foto di Roger Bannister che Augusto Frasca ha cercato nei suoi zeppi scaffali e che ci ha inviato non è la solita. Anch’essa ha lo schema, la struttura del quadro, ma se quella dell’arrivo riporta a trame più complesse, quasi filmiche, come la Ronda di Notte di Rembrandt, la Resa di Breda di Velazquez, l’Entierro del Conte d’Orgaz di El Greco, questa piuttosto riconduce – è stata la mia prima sensazione – a un’opera più piccola nelle dimensioni, non meno drammatica: la cattura di Cristo nell’orto del Getsemani di Hyeronimus Bosch: un viso sofferente e illuminato circondato da una turba.

Quella di Bosch è popolata di volti così mostruosi da apparire caricaturali; quella attorno a Bannister è posseduta dall’aura che sta per sprigionarsi dall’espressione, ancora stravolta, del protagonista. E’ il dopo, non l’immediatamente prima che siamo abituati a vedere nelle memorabili rassegne degli “scatti” che hanno tracciato un percorso, anche nella nostra esistenza, e che propongono il primato del colorismo del bianco e nero.

Quando sir Roger se n’è andato, quasi quattro anni fa, ho guardato con commozione il più bel regalo che mio figlio mi abbia fatto, acquistato a Cardiff, in un’asta di memorabilia e giuto in un imbo che poteva contenere la leonardesca Dama con l’ermellino: sopra la mia poltrona preferita – Ikea – ho appeso la foto dell’Impresa, con autografo originale. Quella sera ho dovuto darmi una scossa, ricorrere alla forza (apparente) delle parole e del pensiero: sir Roger non morirà mai, mi sono detto. Un mini trattato di ars consolatoria.

Se Elisabetta II – il Signore la mantenga in salute – sta marciando verso i 70 anni di accesso al trono, lasciando a rispettabile distacco l’ava Victoria e l’hannoveriano Giorgio III, prima di spegnersi a 89 anni Bannister aveva superato i due terzi di secolo passati dal 3’59”4 di Iffley Road, 6 maggio 1954, quando diventò il primo a percorrere un miglio sotto i quattro minuti, come ricorda, con l’asciuttezza degna delle grandi imprese, la targa posta nello stadiolo nel sobborgo di Oxford. Il tempo non figura, è secondario. Conta l’impresa, il confine superato.

Nella sua lunga storia, Britannia ha saputo abilmente celebrare – sino a renderli leggendari – fatti che altrove sarebbero stati sbrigati in poche righe: la fuga da Kabul in una notte da tregenda, la carica dei Seicento a Balaklava, la resistenza del drappello gallese guidato dai tenenti Chard e Broomhead davanti agli impi (reggimenti) zulù, il sacrificio di Gordon a Khartoum, la missione spionistica, diventata saga, di Lawrence e dei suoi irregolari arabi. L’Impero ebbe eroi che finirono su stampe che, in ogni casa vittoriana, edoardiana e più tardi sotto il regno di Giorgio V, ebbero spazio sopra i caminetti e ne segnarono l’apogeo, quando un quarto del mondo sugli atlanti del tempo era colorato in rosa carico. Britannia dominava sulle onde e non solo sulle onde.

Anche l’Impero avviato al meriggio, non lontano dalla liquidazione, ebbe un volto, trasfigurato nello sforzo, quello di Roger Bannister che – come i protagonisti di “Chariots of Fire” – nel momento più alto, nel nitore assoluto della condizione, pose fine alla giovinezza e entrò nell’età adulta, quella delle consapevolezze, degli obblighi. Altri tempi, altri campioni: oggi l’età agonistica viene trascinata sino all’estremo o, se interrotta, sfocia in un ripensamento, in un ritorno spesso impietoso, o grottesco.

A 25 anni Bannister diventò l’esploratore di un mondo nuovo – come un anno prima era toccato in sorte al neozelandese Edmund Hillary nella sua ascesa verso il cielo assoluto degli 8832 metri dell’Everest – piegò l’aussie John Landy, che aveva concesso solo 46 giorni di vita al record, nel formidabile scontro ai Giochi del Commonwealth di Vancouver, conquistò il titolo europeo sulla pista del Wankdorf di Berna. Chiuse lì, dedicandosi alla professione medica, specialità in neurologia. Gli anni della vecchiaia trascorsero nel cottage di Oxford, non lontano dal teatro del suo capolavoro, dove demolì di due secondi il record dello svedese Gunder Haegg e andò oltre quella soglia che qualcuno aveva paragonato alle Colonne d’Ercole, al pianeta proibito.

Di quel pomeriggio ventoso in un’agra primavera, rimangono i ricordi di Roger che allontanò i fantasmi del dubbio, viene riesumata la mano prestata da due amici – Chris Brasher, due anni dopo a Melbourne olimpionico nelle siepi, e Chris Chataway –, l’ultimo quarto di miglio corso sotto il minuto, il suo tormento e la sua estasi documentati da un fotografo rimasto anonimo: i compagni festanti, un giudice che si commuove, un altro che annota compunto, Harold Abrahams schierato a bordo pista, sull’ultimo rettilineo, il meraviglioso annuncio dello speaker Norris McWhirter: “Signore e signori, questo è il risultato della gara numero 9, il miglio: primo, il numero 41, Roger G. Bannister dell’Amateur Athletic Association e già studente dei college Exeter e Merton, con un tempo che rappresenta un nuovo record della pista e del meeting e che, dopo esser stato sottoposto a ratifica, sarà un nuovo record inglese, britannico, su suolo britannico, europeo, dell’Impero britannico e del mondo. Il tempo è 3’…”

Il ruggito della folla coprì il numero dei secondi e dei decimi, disperse per un lungo attimo l’ufficialità di quel 3’59”4. “Tre” significava l’atterraggio nel mondo nuovo. Il giorno dopo la notizia uscì in prima pagina sul Times. Su una colonna. La moderazione è la misura di tutte le cose. In tempi di isteria diffusa, una lezione che ormai nessuno può intendere. Ventitré giorni dopo ebbe ancor meno spazio la prima incursione, per quattro decimi, sotto i 5’: il luogo era Birmingham; l’occasione, il campionato delle Midlands; l’autrice, Diane Leather, poi signora Charles che ha lasciato questo mondo sei mesi dopo Bannister.

Il 21 giugno, a Turku, la città di Paavo Nurmi, l’australiano John Landy corse in 3’57”9: dopo quarantasei giorni cancellò un record, non il Record. Bannister avrebbe ribattuto un mese dopo ai Giochi del Commonwealth di Vancouver, piegando John in fondo al primo duello dal robusto supporto mediatico. Il faccia a faccia venne immortalato con la fusione di un gruppo statuario. “La moglie di Lot si voltò e divenne di sale, io mi voltai e divenni di bronzo”, sorrise Landy che ha superato i 91 anni, quando vide l’opera e ripensò al momento del sorpasso.

“Sir Roger – gli chiesero molti anni dopo – quel record è stato il momento più alto della vostra vita?”. “I momenti più alti della mia vita sono i quarant’anni che ho dedicato alla neurologia”. Erano altri tempi: sir Roger medico e ricercatore, sir John governatore dello Stato di Victoria. Prima dei Giochi di Londra, Bannister, che il 23 marzo aveva raggiunto gli 85 anni, portò la fiaccola sul luogo della sua impresa. Una targa semplice, a sfondo blu, spiega: “Qui il primo miglio sotto i 4’ venne corso il 6 maggio 1954 da Roger Bannister”. Il linguaggio scarno è per le cose grandi. Mai riuscito a metter le mani sulla moneta da cinquanta penny che venne fusa per il 60° anniversario. Non l’avrei mai spesa.

Per chiudere: Bannister è stato inserito nel Pantheon dell’Atletica con Eugenio Montale, Margherita Hack, Ottavio Missoni e Renato Funiciello, e ha ricevuto la laurea Honoris Causa dall'Università di Pavia.

 

 

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