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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
BRUNO ZAULI
“Il più colto uomo di sport”




Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
dall’ Ottocento al Fascismo
(le oltre 400 testate dimenticate)





Duribanchi / L'ingannevole rimbalzo tra vero e verosimile

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Mercoledì 23 Dicembre 2020


alba 

 

Il vero è crudo: ci sbatti il naso. Il verosimile è edulcorato: ti ci specchi. Il vero sono i morti che ogni giorno il bollettino segnala. Il verosimile sono i provvedimenti, cambiati nel giro di poche ore, da chi governa.

Andrea Bosco

Spiegava Mark Twain: “La verità è la cosa più preziosa che abbiamo. Economizziamola”. Parole al vento. Siamo da così tanto tempo dediti allo scialo della verità da non essere più in grado di distinguere il vero dal verosimile. Aveva cominciato la carta, i tabloid inventori di amorazzi fasulli. Visto che funzionava anche il calcio iniziò a banchettare: trattative fantasmagoriche, evaporate nello spazio fragile di un “mercato”. Quante volte fu “venduto” Pelè a questo o a quel club? Almeno il numero di volte che ha visto un imprenditore francese “comprare” il Milan. Salvo poi constatare che i padroni del Diavolo risultano essere tali Cerchione e D’Avanzo: manager partenopei.

A proposito: vero che Ibra parteciperà a tre serate del Festival di Sanremo? Verosimile: Ibra è mediatico. E la Rai è sempre a caccia di ascolti. Dopo, la scorsa stagione, Madame Cr7, ecco Ibra. La prossima Conte Antonio: per par condicio. Riavvolgo il film: poi arrivò la televisione. Strumento in grado di regalare a qualsiasi sconosciuto “cinque minuti di popolarità”. La televisione esaltò la pubblicità: regno dell'inverosimile veicolato ai creduloni. Il web ha completato l'opera. Falliti e nullafacenti selezionati da oscure piattaforme e catapultati a schiacciare un bottone in Parlamento. Se la sta ancora ridendo il guitto lasciato a piede libero: pensavate non potesse accadere? Invece è accaduto. E vi ho pure mandato a fangala.

I Papi rinascimentali, ogni giorno sorbivano con le tisane anche una piccola goccia di veleno, per abituarsi al beverone che la concorrenza – in conclave – inevitabilmente gli avrebbe apparecchiato. Così siamo noi, ex popolo di eroi, santi e navigatori: saturi di verosimile.

Pare che la trasmissione Rai, “Il Collegio” abbia ottenuto ottimi ascolti. È un format. Tradotto: una cosa che sembra vera ma che in realtà è fasulla. Ci sono i testi e i protagonisti sono attori che interpretano un copione. Non sono famosi e sono lì, nel format, per cercare di diventarlo. Funziona allo stesso modo nei Grandi Fratelli. Anche per i “famosi” o presunti tali. Si insultano, litigano, mangiano, piangono e ridono a comando. Come nelle Isole. Come tra gli Uomini e le Donne che vanno lì, da Maria, per corteggiare o farsi corteggiare. Se ricevi bastanti lusinghe puoi diventare “tronista”. Senza perifrasi: gli autori che hanno scritto il copione del “Collegio”, in un istituto non ci sono mai stati. Dice che adesso hanno intenzione di sfornarne altri due, di format: “La Caserma” e “Il Convento”. Per la Caserma vi saprò dire. Per il Covento, passo. Non è mai stato il mio giardino.

Il vero è crudo: ci sbatti il naso. Il verosimile è edulcorato: ti ci specchi.

Ho stima per Barbara Palombelli che ha chiuso il suo annuale ciclo di trasmissioni su Rete Quattro. Mi piace la sua misura. La capacità di smorzare i toni, anche di fronte alla maleducazione di qualche ospite. Ma non so se continuerò a seguire la sua trasmissione. Accetto di vedere tutti: anche i più improbabili. Ma Danilo, no. Convocare Danilo, l'uomo che confondeva gli incrociatori con i rimorchiatori, è un implicito invito a disertare la trasmissione. Danilo non è vero e neppure verosimile: è roba da “Scherzi a parte”. Verificherò: nel caso bye, bye, Barbara.

Il vero sono i morti che ogni giorno, implacabilmente, il bollettino della pandemia segnala. Il verosimile sono i provvedimenti, cambiati nel giro di poche ore, da chi governa. Il verosimile sono i negazionisti, secondo i quali il Covid è una invenzione del cattivone di Soros. Che figlio androcchia (per svariati motivi) certamente, lo è. Ma che nelle vesti di untore risulta improbabile.

Vero: come le difficoltà politiche nelle quali si sta dibattendo Giuseppe Conte. Verosimile: come il consenso (in aumento) del quale Conte (nonostante la perdita di fiducia degli italiani nel governo) disporrebbe. Ah Nando: che stai a dì? Ma dove li fai i sondaggi? Tra i gesuiti? Saprà sopravvivere Conte alle imboscate di Renzi? Lo sapremo solo Vivendi.

Vero: come i morti provocati dal crollo del ponte Morandi a Genova. Verosimile, come le ipotesi che gli inquirenti hanno messo, nero su bianco, a carico di chi doveva fare, di quel ponte, la manutenzione. Incuria, lavori mai fatti, ritardi: quelle vittime avrebbero potuto essere evitate.

Vero: come gli insulti antisemiti lanciati contro la bellissima April Benayoum, miss Provenza e seconda classificata a miss Francia. La cui colpa è di aver rivelato di essere per parte di madre, serbo-croata. E per parte di padre italo-israeliana.

Verosimile: come l'indignazione a targhe alterne che le femministe nostrane esternano nei confronti di chi si sottrae all'ormai assillante “politicamente corretto”. Come le modelle immortalate “nature” nel calendario “Italienza” che il Codacons ha realizzato per la fine dell'anno. Oggetto (il Codacons) di strali per aver osato chiedere di “votare la più bella”.

Ho trovato ironico un articolo, sul tema sessismo, di Massimiliano Parente. Che dopo varie (anche gratuite, a mio parere, sciabolate) conclude: “Non poteva mancare infine Michela Murgia, che ha accusato il Premio Strega di sessismo, in quanto vincono quasi sempre i maschi. Qui in parte ha ragione, e c'è da dire che il premio Strega fa talmente cagare per la mediocrità dei libri selezionati che, sì, che sì, potrebbero darlo un anno ad una femmina e un anno ad un maschio, oppure anche sempre alla Murgia. Così come i calendari, metteteci la Lipperini, la Valerio, la De Gregorio (Concita che non vuole essere chiamata Concita), la Murgia, la Boldrini, se non volete essere accusati di sessismo. Certo, voglio vedere poi chi se lo appende”. Feroce ma non privo di “vero”. Siamo ormai tutti “ostaggi” del politicamente corretto.

Due giorni fa sono andato in libreria a chiedere un saggio del professor Alessandro Barbero (sua una monumentale biografia su Dante Alighieri) dal titolo imbarazzante: “La voglia dei cazzi”. Barbero ha tradotto in un italiano accessibile i versi dei fabliaux medievali. Opera che avevo incrociato durante il mio esame di italiano con Vittore Branca, nella versione cinquecentesca, “purgata” delle esplicite voglie delle dame dei Secoli Bui. Fallito il tentativo di circumnavigare il titolo, la giovane commessa alla quale lo avevo richiesto, comprensiva mi ha “salvato” sorridendomi: “È una parola che usiamo tutti”.

Vero: come l'avvenuta liberazione (finalmente) dei pescatori siciliani, presi in ostaggio da un tirannello libico e detenuti per oltre 100 giorni per immaginifici reati. Solo verosimile che per la loro liberazione, l'Italia (che in Libia nella figura del premier e del ministro degli esteri è andata a baciare la pantofola del satrapo nordafricano) non abbia sborsato un euro. E che l'operazione sia andata a buon fine per il lavoro dell'intelligence nazionale e non per la mediazione di Putin, come ha rivelato Silvio Berlusconi. Che probabilmente la “mediazione” aveva sollecitato. Solo verosimile che gli scafisti assassini, condannati in Italia e reclamati dal satrapo si trovino ancora nelle patrie galere. Basterebbe una foto per fugare i dubbi. Perché, no: una dichiarazione, neppure “ufficiosa”, non basta.

Vero: come il fatto che Hannah Arendt sia stata l'amante di Heidegger, filosofo filonazista. Falso che Arendt, (esule a Parigi dove lavorò per organizzazioni che aiutavano i rifugiati ebrei), condividesse le tesi di Heiddeger relative alle responsabilità dei capi delle comunità ebraiche in Germania, collaborazionisti con i nazisti. Vero che Arendt diventò indigeribile (per certa intellighentia) dopo aver pubblicato il fondamentale “Le origini del totalitarismo” dove analizzava in parallelo il nazismo e lo stalinismo.

Vero che Enzo Bearzot, come ha scritto meravigliosamente su 7 Maria Luisa Agnese, era un patito di jazz. La squadra come una orchestra. “Il regista della squadra – spiegava Bearzot – è come la batteria, che dà i tempi. Il sax è il fantasista. Il contrabbasso è il libero, la tromba è il goleador”. Quindi: Paolo Rossi, tromba. Scirea, contrabbasso, Conti sax e Antognoni batteria.

Verosimile che Bearzot, come spiegava Indro Montanelli, fosse “un rappresentante di una Italia rurale, sobria, provinciale e schiva”. Ma quel friulano, burbero e taciturno non era solo questo. Sapeva di letteratura, di vini, di storia, oltre che di musica. E come pochi era uno scienziato nel gioco dello “scopone”. Come (su quell'aereo che tornava dal trionfo di Madrid nel 1982) appurò il presidente della Repubblica, Sandro Pertini.

Vero come l'esame farsa sostenuto dal calciatore Suarez a Perugia: sono state pubblicate domande e risposte. Roba invereconda. La Procura accerterà se ci sono state responsabilità da parte della Juventus. Certamente è da mettersi nelle mani nei capelli al pensiero che un ateneo italiano fosse nelle mani di gente simile. Ora non ci sono più. Ma per troppo tempo ci sono stati.

Vero, come l'affermazione del presidente del CONI, Giovanni Malagò: “Siamo illegittimi nell'ordinamento internazionale. Il governo sa che c'è questa situazione illegale. Siamo all'ultima tacca della riserva”. Tradotto: per il casino prodotto da questo (e dal precedente) governo, l'Italia corre il rischio saltabeccando tra CONI e Sport e Salute, di finire fuori dai giochi olimpici del 2021.

Verosimile come il ministro Spadafora. Al governo hanno la carta copiativa: non c'è ministro che non faccia come il presidente del consiglio. Rinviano. Tutto rinviano. E quando si trovano con l'acqua alla gola, trangugiano. Il problema è che con loro trangugia anche il Paese.

Vero che il ricorso del Napoli è stato accolto dal collegio di garanzia del CONI: Juventus-Napoli disertata da De Laurentiis mesi fa causa Covid si rigiocherà. Sputtanata la Corte d'Appello Federale che aveva accusato il Napoli di “dolo preordinato”. Ma al presidente Gravina, che nonostante la legge Lotti intende ricandidarsi (“sono stato indicato da tre leghe”) evidentemente poco importava dell'esito del ricorso, avendo evitato la Federazione (al pari della Juventus) di costituirsi parte in causa. Non così i voti. Quelli a Gravina importano. Quelli che gli consentiranno di non fare le riforme (leggi: taglio delle partecipanti ai campionati) ma di galoppare nella realizzazione dei play-off. Per rendere più competitivo il campionato. Verificare la lunghezza del naso di Gravina.

Giusto, comunque, a mio parere, così: giusto disputare Juventus-Napoli. I risultati conseguiti a tavolino hanno qualche cosa di sportivamente odioso. C'è chi adora i maggiolini e chi neppure ai fratini si siederebbe. Con la effe minuscola e una sola “t”: ovviamente. Con una postilla: se la Juventus accetterà di scendere in campo per il recupero a ridosso della gara con l'Inter, il 13 di gennaio, Andrea Agnelli potrebbe giocarsi una fetta della tifoseria. Non c'è tifoso al quale importi un fico del Napoli o di altre squadre. Tutte, tranne una: l'Inter.

Vero: come la ritrovata compattezza dell'Olimpia: bel basket, grande organizzazione, ottimi interpreti. Verosimile non sia la favorita per il titolo? No: decisamente inverosimile.

Fino a ieri a Venezia declamavano Fusinato: “Il morbo infuria, il pan ci manca, sul ponte sventola bandiera bianca”. Poi stufa di perdere, la Reyer si è (con qualche affanno) risollevata contro Varese. È arrivato (dalla dissolta Roma) Campogrande: con quel cognome, solo a Venezia poteva approdare.

Anche il vecchio dubbioso “sente” che si sta avvicinando un giorno speciale. Albert Einstein che nel 1919 a Dio mandò una “Lettera”, aveva percepito che “nell'Universo c'è una impronta sublime e un mirabile ordine che si rivelano nella natura e nel mondo del pensiero”.

È vero che inevitabilmente, ogni giorno, ti chiedi il perché di tanto inutile orrore. Ma Dio, non serve avere la fede per saperlo, non è abituato a dare spiegazioni. Dice che se continuerai a cercarlo, lo troverai. Non lo so. Ma so che il Natale ispira contemplazione e meraviglia, silenzio e stupore. Silenzio, soprattutto. Forse il silenzio è il modo per trovarlo. Senza addossargli responsabilità. E confidando. Spiegava sempre Einstein: “Non crederò mai che Dio giochi a dadi con il mondo”.

 

 



 


 

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