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I sentieri di Cimbricus / Fuori dai Giochi: la spy story del momento

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Lunedì 9 Dicembre 2019

 

doping-19

 

I fulmini della WADA si abbattono sullo sport russo: quattro anni di bando si traducono in esclusione dai Giochi asiatici, 2020 e 2022. Ma che potrebbero aprire la strada ad altre indagini. Sorprendenti.    

 

Giorgio Cimbrico

John Le Carrè ha 88 anni compiuti, è ancora molto vivace e ho idea che da quello che sta accadendo potrà trarre ispirazione per un nuovo genere, la spy sport story. Quel che sta accadendo è la possibilità del più grande bando nella storia dello sport e, sullo stesso piano, la presa di potere della WADA. Che questa fortissima raccomandazione – quattro anni fuori da ogni evento diventi realtà, necessario attendere la parola finale del CIO, governo mondiale dello sport olimpico oltre che potente consiglio di amministrazione. E così molto attento all’economia di mercato.

Per provare un’analisi su quel che sta succedendo è necessario andare indietro nel tempo, riesumare una struttura sovietica che la Russia putiniana non ha cancellato, un groviglio di complicità politiche che ha mantenuto l’etichetta di “doping di stato”: falsificazioni, eliminazione di prove, commistione sospetta e pericolosa tra apparati sportivi e politici. In questo senso i Giochi Invernali di Sochi 2014 sono stati un’interessante cartina al tornasole: la presenza di ex-KGB in prossimità o all’interno dei laboratori è un prova evidente di questo sistema.

Primo colpo di martello vibrato contro il muro di omertà, la confessione della maratoneta Liliya Shobukova che ammise di aver versato 450.000 dollari per veder coperto il suo caso di positività. Questa prima breccia ne aprì un’altra, più vasta e rovinosa: un milione di dollari sulla rotta Mosca-Montecarlo, destinatario Lamine Diack, allora presidente della IAAF e così indagato dalla giustizia francese. Non è un caso che sia stata proprio la federazione internazionale di atletica, dopo la salita al potere di Sebastian Coe, a mettere in atto misure di forte intransigenza con il sistema russo delle coperture, della distruzione di prove documentali o di campioni organici. Verdetto: l’esclusione dalle manifestazioni internazionali.

Il “porto delle nebbie” moscovita ha avuto la stringente attenzione della WADA che ha raccolto evidenze su 643 casi, sospendendo la Rusada, procedendo alla chiusura del laboratorio e concentrando i contenuti in quello che è già passato alla storia come rapporto McLaren. La mutazione di albi d’oro, di podii mondiali e olimpici, la sospensione di tecnici – uno per tutti, Viktor Shegin, allenatore e guru della marcia - sono state le conseguenze più appariscenti di un’indagine che dall’atletica si è allargata a macchia d’olio su tutto lo sport russo, senza che peraltro altre federazioni internazionli giungessero al bando voluto e applicato dalla IAAF.

La WADA ha continuato a indagare sull’agenzia russa per l’antidoping, ha assistito alla sua apparente mutazione, ha espresso parere negativo alla partecipazione della Russia ai Giochi di PyoengChang ottenendo disco verde da parte del CIO, ha atteso progressi e cambiamenti di rotta che, secondo l’esecutivo, non si sono verificati neppure nel corso del 2019. Il sistema della copertura, della falsificazione dei dati è andato avanti: l’esclusione dai Mondiali di Danil Lysenko, 2.40 l’anno scorso, è uno dei dati più eclatanti. E così la richiesta del provvedimento più draconiano nella storia dello sport nasce da una serie di evidenze che la WADA ritiene inoppugnabili.

Al CIO tocca valutare e sposare, per le Olimpiadi di Tokyo e di Pechino, la linea già adottata dalla IAAF per gli atleti che risultano estranei a questo sistema. È molto probabile che la sigla ANA, Authorized Neutral Athlete, compaia sia l’anno prossimo che nel 2022 per permettere una presenza senza bandiera, senza inno, senza indumenti riconducibili alla Rodina, la patria, in russo. Ai Mondiali di atletica di Doha ne erano stati ammessi una trentina. A occhio, di esclusi a Tokyo ce ne saranno almeno 250. Non male per un paese che non c’è.

Un tentativo di analisi storica, che non può non dipendere dal passato, porta rapidamente alla conclusione che la durissima richiesta della WADA ha i connotati della condanna e della chiusura del Vecchio (e Nuovo) Satana in un ermetico girone infernale o in uno dei quei cerchi di cui scrivevano i dissidenti. Se l’URSS creava gli atleti robot, i campioni da laboratorio, la Russia, sportivamente reduce dal crollo della galassia centrale, non può che affidasi a una frode più spiccia e meno segreta, in una struttura ricca di varchi, di falle, di confidenti disposti a parlare, come il vecchio responsabile del laboratorio moscovita, oggi in USA, sorvegliato come il colonnello Abel.

Il tempo della prima guerra fredda sono lontani, quelli della seconda sono contemporanei. E, appena alle nostre spalle, sono i danni che allo sport ha recato il doping da libero mercato: il vuoto, superiore a quello d una guerra mondiale, nell’albo d’oro del Tour, le incarcerazioni di Marion Jones e di Montgomery, la maxi-squalifica del redento Gatlin, le ombre sulla morte di Flo Jo, i disinvolti comportamenti dei protagonisti delle grandi leghe professionistiche. Ogni Satana si comporta secondo abitudini, storia, stile di vita.

E, giunti a questo punto, non sarebbe male che la WADA rivolgesse la sua attenzione anche al Kenya: lo stillicidio delle positività per sostanze “pesanti” assomiglia giorno dopo giorno, al getto di un rubinetto. Il sangue ricco regalato dall’altopiano non basta più.

 

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