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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
BRUNO ZAULI
“Il più colto uomo di sport”




Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
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(le oltre 400 testate dimenticate)





I sentieri di Cimbricus / Ma cos'e' questo sport nella scuola?

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Giovedì 28 Marzo 2019

 

lacrosse

 

Tutti ne parlano, da noi, ma nessuno sa di cosa si parla. O meglio, con quale prospettive. Un'occhiata alla realtà britannica, tanto per confrontare. Esempio di scuola (scusate il bisticcio): lo sport universitario che non c'è ma produce le costose Universiadi. 

 

Giorgio Cimbrico

Dopo aver sentito blaterare di sport nella scuola da alcuni decenni (politici sportivi o sportivi politici fa poca differenza), ho una modesta proposta da sottoporre a tutti gli uomini del Coni e della Sport e Salute e magari a quelli del Ministero dell’Istruzione o come diavolo si chiama: acquistare un biglietto low cost (non è il caso di sperperare quattrini con la business) e andare a dare un’occhiata a quel che sta accadendo sui campi del Rosslyn Park, sudovest di Londra. In questi giorni è in programma ll Seven di rugby, nato nel ’39, poco prima dell’inizio delle ostilità. Al Seven partecipano 9624 giocatori (e ora anche giocatrici) dai 13 ai 18 anni, che rappresentano 800 scuole.

Scorrere la storia del Seven organizzato dal club il cui centenario venne festeggiato con una partita a Twickenham (in campo con il Resto d’Europa c’era Paolo Rosi, che segnò una indimenticabile e raccontatissima meta in mezzo ai pali) significa imbattersi in leggende (Gareth Edwards), in capitani dell’Inghilterra (Will Carling, Lawrence Dallaglio, Martin Johnson) e in magnifici e balzani talenti non sbocciati del tutto. Ma questa è solo la cornice.

La tela, la tavola, i colori sono le centinaia di scuole che si iscrivono a questo torneo di rugby fulmineo schierando i migliori: tutti gli altri vanno a vedere. Più o meno come capitava molti anni fa in Italia per le finali degli Studenteschi. Nella clessidra sono passate tonnellate di sabbia e sono stati uditi molti milioni di parole vuote: il valore formativo, la mens sana in corpore sano, l’equilibrio psico-fisico, la maturazione e integrazione che passano anche attraverso lo sport, la necessità di un’impiantistica di base. Già.

Altrove è diverso. Oggi l’immagine può esser la carica dei 10.000 di Rosslyn Park, ma il caleidoscopio riserva tutte le visioni che volete: basta far ruotare le pietrine colorate. Prendete lo sport universitario che proprio in Italia sta per celebrare il suo massimo appuntamento, l’Universiade parteno-campana che come andrà a finire nessun lo sa.

In Gran Bretagna lo sport universitario non partecipa alle attività federali, ne è estraneo, lontano proprio perché è impegnato in quella che, con termine ufficiale, dobbiamo etichettare attività istituzionale, cioè legata all’istituzione: lo sport universitario per gli studenti e per le studentesse universitarie, declinato in tutti i suoi aspetti, a cominciare da quello agonistico. Nelle università britanniche si può nuotare, fare atletica, tirare di scherma, giocare a tennis e a rugby (anche quello a XIII), vogare, ma volendo si possono praticare discipline di cui qui non si conosce neppure l’esistenza: il lacrosse, che è una specie di hockey inventato dagli irochesi, o il netball, un parente del basket, molto amato dalle ragazze che lo giocano con una gonnellina plissettata.

Per gli italiani che pensano di conoscere, perlomeno a palmi, le tradizioni britanniche, lo sport scolastico e universitario si riduce alle parole del Duca d Wellington (“Waterloo è stata preparata sui campi delle scuole”: inutile precisare che Waterloo qui significa vittoria e non catastrofe), alla “boat race” tra Oxford e Cambridge sulle acque marroncine del Tamigi, al Varsity match di rugby tra i due illustri atenei, l’uno blu, l’altro bianco azzurrino, e a vecchie immagini di campionati giovanili di corsa campestre, su prati che parevano la terra di nessuno della Somme. I più avvertiti conoscono l’esistenza della pallamuro di Eton, un durissimo scontro delimitato, da un lato del campo, da una parete in pietra che ha procurato molto lavoro agli ortopedici. Sono picchi, punte di iceberg: sotto, si agita un universo sostento dai singoli atenei, con un’organizzazione capillare persino nell’archiviazione dei risultati e con un’offerta che non trascura nessuno e che nessuno può trascurare.

Senza voler a tutti i costi porre Albione come punto di riferimento o come sbocco ideale, un’esperienza simile è stata provata dal figlio di un caro amico, appena atterrato all’università d Valencia. “Giochi a rugby, abbiamo visto. Bene, gli orari sono questi, i campi sono quelli, ti aspettiamo”. Sbaglio o anche la Spagna ci ha lasciato nella polvere?

 

 

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