- reset +

Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
BRUNO ZAULI
“Il più colto uomo di sport”




Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
dall’ Ottocento al Fascismo
(le oltre 400 testate dimenticate)





Osservatorio / "Cultura" sportiva, questa sconosciuta (da noi)

PDFPrintE-mail

Sabato 21 Aprile 2018

football-1 2

Un tema un po' consunto, ma che dovrebbe essenzialmente valere come rispetto e passione.

di Luciano Barra

Nei primi giorni di aprile, nella rubrica “Porto Franco” di Franco Arturi, sulla Gazzetta dello Sport è stata pubblicata una lettera (a firma Mario Bruni) dove l’autore sosteneva come “l’overdose del calcio sui media nuoccia alla cultura di questo Paese”. Arturi risponde in maniera articolata ponendo una serie di domande interessanti, sostenendo che nel nostro Paese “difettiamo di valori sportivi” che è un concetto differente da quello della cultura sportiva. Porta, per assurdo, un esempio vissuto in prima persona quando a metà degli anni Ottanta ha dovuto rilevare la grande differenza fra l’Italia e gli Stati Uniti. In dettaglio, dopo aver lavorato sulla rosea fino a notte per dedicare una pagina a un tempo da favola conseguito da Evelyn Ashford sui 100 metri, arrivato negli Stati Uniti aveva dovuto con stupore constatare che i giornali americani avevano dato poco risalto a questa notizia, molto più concentrati su basket, baseball e football americano. La domanda che il giornalista si poneva era: “Hanno cultura sportiva laggiù negli USA?”

Personalmente ritengo che non si può misurare la cultura sportiva di una nazione dallo “spazio” che i giornali danno alle diverse discipline sportive. Ciò vale anche per gli spazi televisivi. Giornali e televisioni rispondono a diverse logiche, per lo più dettate da interessi commerciali (pubblicità ed altro) che forzano certe scelte.

Il livello della cultura sportiva e dei valori sportivi, ovviamente, non può essere misurato dagli spazi dedicati dai media, anche se ciò può negativamente (o positivamente) influenzare gli stessi. Credo che tutti amerebbero vedere gesti di “sportività” in tutte le discipline sportive, applausi per gli avversari, meno fischi per gli inni azionali, ecc. Una generale correttezza. Così come sarebbe un bene che i media dedicassero più spazio a questi aspetti. Perché non istituire premi di fair-play, immagini sul miglior passaggio in un’azione di calcio, ecc.?

Ma tornando agli Stati Uniti, ci tengo a raccontare la mia personale esperienza. Era metà degli anni Ottanta, proprio alla vigilia della medaglia d’oro di Evelyn Ashford a Los Angeles 1984. Si era appena costituita l’ASOIF a cui il CIO aveva dato la responsabilità di verificare che la parte sportiva dei Giochi californiani procedessero positivamente. Andai insieme a Boris Stankovic, allora Segretario Generale della FIBA e Segretario Onorario dell’ASOIF. Dovevamo fra l’altro convalidare il numero di giudici internazionali che le varie Federazioni avevano proposto per lo svolgimento della parte sportiva dei Giochi. Giudici ai quali, in base alle norme di allora, il CIO avrebbe pagato viaggio ed alloggio.

Gli organizzatori americani, guidati nella discussione dal loro presidente Peter Ueberroth, presentarono una lista divida in due colonne: una per i giudici internazionale e una per i giudici nazionali. Il compito nostro, come ASOIF, era di verificare e convalidare solo la prima lista. Ma nella presentazione non ci sfuggi il fatto che gli americani, nella lista dei giudici nazionali, avevano presentato numeri che erano due o tre volte più alti del normale. Ricordo perfettamente che per l’atletica, invece degli usuali 250 giudici, ne erano stati indicati 750.

Non era nostro compito entrare in quel merito, ma conoscendo le complicazioni, soprattutto economiche e logistiche, che ciò avrebbe comportato, Stankovic mi chieste di fare la domanda. Sapete cosa mi rispose Ueberroth? “Caro Luciano, devi sapere che tutti questi giudici nazionali dopo essere stati selezionati dalle loro Federazioni, hanno accettato di pagarsi viaggio, soggiorno e divise pur di essere qui ai Giochi”.
 
Non si trattava di una questione commerciale, ma di semplice cultura sportiva. Ve la immaginate una cosa del genere dalle nostre parti?

 

Cerca