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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

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I sentieri di Cimbricus / E se ci candidassimo a stare zitti?

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Mercoledì 14 Marzo 2018

cesana-bob

Una strana convergenza Grillo-Chiamparino ripropone le Olimpiadi a Torino. Ma ci sono ancora gli impianti?

di Giorgio Cimbrico

La farsa di un paese disperato e inutile, la tragedia di un paese ridicolo vanno in scena quando qualcuno, in cerca di prede, di consenso, di vantaggi, di manna per le clientele, concede la parola “candidatura”. Ha un effetto detonante, è come una salva di katiuscia, il lanciarazzi multiplo conosciuto anche come “organo di Stalin”. Milano, capitale morale (infatti negli ultimi trent’anni ha spedito sul palcoscenico del potere Craxi e Berlusconi) ha, da quando ricordo, periodici pruriti olimpici. Il fatto che uno dei suoi impianti più rimarchevoli sia stato voluto da Napoleone, due anni dopo la sua autoincoronazione, non ha mai turbato le ambizioni di chi ha l’intemerato ardire di dar fiato al progetto.

Dal momento che, dopo l’accoppiata di designazioni 2024-2028, una proposta di candidatura per Giochi estivi non potrà essere esplicitata prima del 2025, l’obiettivo si è spostato sull’Olimpiade invernale del 2026, quella che segue l‘edizione ospitata da una delle località più celebrate per lo sport invernale: la capitale del Nord, Pechino.

Beppe Grillo, che in linea d’aria abita a tre chilometri da casa mia ma che non ho mai la sorte di incrociare, ha proposto Torino che sembra ieri l’abbia ospitati, anche se l’aria di città olimpica è stata spazzata e raschiata via piuttosto rapidamente: sufficiente pensare allo stato dell’ex Villaggio Olimpico al Lingotto, alla sparizione del ghiaccio all’Oval, al Palazzo a Vela e al PalaIsozaki, al generale abbandono delle strutture di Cesana e Pragelato (i trampolini in via di smantellamento). Quanto al budello per bob e slittino, sbrinato e smantellato da tempo (nella foto, quel che ne resta). Sci alpino a parte, non una gara di Coppa del Mondo di biathlon, sci di fondo, salto. In Austria e Germania l’uso degli impianti, anche estivo, è normalità, ma non è il caso di insistere su questi aspetti. È facile venire etichettati come anti-italiano. Pazienza.

Molto meglio, e più divertente, annotare la perentoria reazione di Luca Zaia (“le organizziamo noi, sulle Dolomiti”) perché serve a gettare altra luce, a riesumare altri fatti abbastanza godibili. Non so se ricordate quando la febbre della Coppa America divenne un’epidemia che soltanto la ministro Lorenzin avrebbe saputo arginare: da Imperia a Trieste, dopo aver percorso tutte le coste italiane, isole comprese, era un fiorire di proposte, era una promessa di posti di lavoro, era un turgore di opportunità. Turismo, denaro a fiumi, strutture destinate a durare e a fruttare: una cornucopia, un’esaltazione delle arcinote eccellenze italiane. Edizioni ospitate: zero.

A un’ora o poco più di volo, Valencia ha costruito il suo porto d Coppa America, su un fronte di due chilometri, corredando con alberghi per tutte le tasche. E, nel frattempo, Calatrava aveva anche visto portare a compimento il suo luminoso progetto: Museo della Scienza e Teatro dell’Opera, dove non hanno timore a rappresentare la Tetralogia, come a Bayreuth.

A questo punto, torno un attimo all’aspetto della convenienza economica, alle miniere d’oro che altri hanno scavato e sanno sfruttare. Qui, al massimo hanno scoperto giacimenti di pirite, l’oro degli sciocchi. Ne cito solo un paio: Twickenham e Wimbledon che, messe assieme, hanno bilanci consolidati non lontano dal miliardo di sterline. Senza interventi del governo, senza sussidi. Al contrario, sono loro a dare, per lo sviluppo. Candidiamoci a stare zitti, per un po’ e per buon gusto.
 
Poscritto atletico

Vetter meglio di Vettel: nei primi assaggi di stagione il sassone, concittadino di Rudolf Harbig, lascia segni più importanti che il pilota dell’Assia e diventa il padrone della più lunga misura raggiunta ancor dentro la parentesi invernale, 92,70 a Leiria, nella Coppa Europa di lanci, migliorando un metro e mezzo quanto aveva ottenuto a Potchefstroom, Sudafrica. Di ambientazione sudafricana rimane la più estesa parabola disegnata “fuori stagione”: 94.02 di Jan Železný nel ’97 a Stellenbosch, ma oltre il confine stabilito per convenzione: era il 26 marzo, già primavera.

La chance che Gross Johannes, Giovanni il Grande ma anche il Grosso, campione mondiale e titolare della seconda misura di sempre, possa diventare padrone e feudatario di un’isola dell’arcipelago di Turku (premio promesso a chi, nel corso dei Paavo Nurmi Games, andrà oltre i 93.09 di Aki Parviainen, record finnico e su suolo finnico) diventa sempre più solida. In caso di record del mondo, 98,48 di Železný quasi ventidue fa a Jena, Vetter avrebbe il diritto di reclamare un’isola di una certa dimensione e magari anche uno scudo araldico.

 

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