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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

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Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
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(le oltre 400 testate dimenticate)





I sentieri di Cimbricus / Nostalgia canaglia sulla macchina del tempo

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Martedì 3 Ottobre 2017

grenoble 2

di Giorgio Cimbrico

L’altro giorno, un vecchio amico, Augusto Bovero, mi ha fatto un bellissimo regalo: non è dentro una bottiglia, ma è come se fosse un messaggio affidato alle onde – del mare e del destino –, non è ermeticamente chiuso, ma è come fosse sigillato in una capsula del tempo. E’ il programma, prezzo 2 franchi, dei Campionati Europei Indoor di Grenoble, 11 e 12 marzo 1972: è stampato su carta di poco pregio, dotato di una grafica approssimativa, capace di resuscitare le vecchie parole di Hemingway: “quando eravamo molto poveri e molto felici”. E anche molto più giovani, a dire il vero.

Sfogliarlo è diventato un viaggio in un mondo che non c’è più: nel comitato d’onore, lord Burghley, marchese di Exeter, campione olimpico a Amsterdam 1928, al vertice dei Giochi londinesi del 1948, presidente della Iaaf, aristocratico di razza antica (un suo avo era stato il segretario di Elisabetta la Grande), ma anche capace di vedere lontano: “finirete per trasformarvi in manichini” disse, davanti alle progressive aperture del CIO agli sponsor e al sempre più massiccio afflusso di denaro. Dopo Burghley, Adrien Paulen, primatista mondale dei 500, attivo nella resistenza olandese al tempo dell’occupazione tedesca, presidente dell’Associazione Europea, di cui faceva parte Pasquale Stassano, e poi della Iaaf. Burghley e Paulen: dopo di loro, Primo Nebiolo.

L’elenco degli iscritti produce, 45 anni dopo, sommovimenti dell’anima: Valeri Borzov e il piccolo Aleksandr Korneluyk che andava via come una palla di schioppo, Guy Drut, Wolfgang Nordwig con i suo viso impenetrabile da giocatore di poker, Viktor Saneyev, Renate Stecher, Lyudmila Bragina e Annelie Ehrhardt che aveva occhi verdi come se ne vedono di rado. Forse solo Vivien Leigh.

Dentro al libretto c’è anche qualche foglio di risultati, scritti con una macchina da scrivere e riprodotti al ciclostile. La pubblicità consiste in una pagina dell’Adidas una della Puma (par conditio), una della Longines, una della 3m France che produceva il magico tartan, una della Brummell grande magazzino di abbigliamento maschile e, curiosamente, una della Puutalo, azienda finlandese che produceva casette prefabbricate da montare tra le betulle, nei pressi di un lago.

Ora, vi domanderete, perché tutta questa attenzione per un vecchio programma che tende all’ingiallimento? Perché contiene ricordi piacevoli e commossi di un viaggio improvvisato che quattro amici, Augusto, io, Biagio Cammarata e Edoardo Giorello organizzammo in un battibaleno: i preparativi si esaurirono nell’acquisto di un biglietto di seconda classe Genova-Grenoble (sino al confine con rosea credenziale CONI che solo i vecchi possono ricordare) e ritorno. Tutto il resto, frutto di invenzione, di faccia tosta. In quel mondo lontano e semplice era consentito.

Ad esempio, come entrare al Palais des Sports senza pagare il biglietto? Sufficiente impugnare una cassetta di metallo (conteneva la macchina fotografica e l’obiettivo di Biagio) e agli uomini che presidiavano l’ingresso dire che eravamo quelli del fotofinish. E questo fu il sabato. La domenica la sorveglianza sembrava meno blanda e allora Augusto inventò qualcosa che assomiglia ai fotogrammi di un film con De Funes e Bourvil: ordinò che ci infilassimo nei ranghi della banda degli Chasseurs des Alpes (gli alpini francesi) e fu così che, mischiati ai militari con il basco e al suono della Marsigliese, entrammo nell’Arena per imboccare subito dopo una scala che ci portò nel ventre del Palais, nell’area di riscaldamento, dove Augusto andò a incocciare in un robusto giovanotto che stava facendo allunghi. “Mi scusi”, disse in italiano. Era Borzov.

Il principe di Salina diceva che, a pensarci bene, felici davvero siamo raramente durante la vita. Noi per tre giorni lo siamo stati, nel nostro alberghetto che costava 15 franchi, alle prese con i menu economici di cui parla Simenon, in quella lunga sosta notturna a Chambery dove, come in un sogno, apparvero Giorgio Lo Giudice e Flavio Salvarezza. E così quando Augusto mi ha allungato quell'opuscolo, ho sentito un tuffo al cuore. Viaggiare nel tempo si può: lo dice Stephen Hawking e io sono d’accordo.

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