Londra 2012 / Lorgoglio di essere british: se mille anni vi sembran pochi
Sabato 28 Luglio 2012
(gfc) Il clou dell’inaugurazione di questi trentesimi Giochi? La regina Elisabetta che finge di scendere in paracadute, scortata dalla brutta copia di James Bond. Poi la lunga requisitoria (ridotta di una quarantina di minuti) di Danny Boyle, il regista d’assalto che ha conosciuto momenti più ispirati, incentrato su “tutto quel che c’è di bello e buono a essere inglesi”, da Mary Poppins ai Beatles, passando per Shakespear. Accuratamente fuori invece tutto ciò per cui gli inglesi, guardando alla loro storia, potrebbero vergognarsi. Anche così si fa cultura ai margini dello sport. Ma che volete, se deve essere spettacolo, che lo sia fino in fondo, e allora tutto si giustifica: l’orgia della musica pop e qualche stonatura, studiata a bella posta per confondere la vecchia retorica, spina dorsale dell’Olimpiade. Come le sognanti note di “Momenti di gloria” mortificate dalle smorfie di Mister Bean. Si poteva fare di meglio dopo Pechino? Di certo si è scelto di percorrere una strada diversa: la storia musicale del paese a fare da sfondo. Con un occhio attento alla televisione che paga tutto (sarebbe stato di 34,5 milioni di euro il “sogno della comunicazione universale”, parole di Boyle, che ha mosso 15.000 figuranti).
E così, quadro dopo quadro, si passava alla sfilata degli atleti, per la verità un po’ sbrindellata, tra finti costumi nazionali e qualche inevitabile caduta di stile. Salvo gli italiani, fasciati di Armani, e gli americani (quelli a stelle e strisce) agghindati da Ralph Lauren, neanche dovessero sbarcare a Guadalcanal. Ce n’era per tutti i gusti, anche per coloro (apolidi o altro) che il CIO ha sotto tutela. Ma che, melanconicamente, erano solo in tre e ballavano sulla pista. Così si potrà dire che a Londra le bandiere, se proprio non i paesi, sono salite a 205.
In tribuna capi di stato e di governo a iosa (erano 95), da Obama e consorte a Medvev privo di Putin. Tra di loro, un po’ spaesato, anche il presidente Giorgio Napolitano, l’unico arrivato allo stadio in automobile, che a un certo punto si è fatto aiutare a indossare un cappotto. “Abbiamo qualche problema, ma siamo capaci di esprimere grandi energie, a livello simbolico noi italiani possiamo confermare di avere risorse straordinarie”, aveva detto poco prima in visita a Casa Italia, sei piani di lusso con vista su Buckingham Palace, base mancata di Roma 2020, i Giochi che finiranno a Istanbul. Chiusa alfine la sfilata dalla poderosa armata britannica, sequestrate le bandiere, tutte infilzate sulle balze di una finta collinetta, ha avuto inizio la cerimonia d’apertura vera e propria. Quella coi discorsi e i passaggi di consegne, fino a che la regina Elisabetta poteva finalmente dichiarare aperti i Giochi. Dopo che sette ragazzi avevano acceso il tripode, confutando ogni previsione e sbaragliando ogni scommessa.
La festa di colori e musica poteva chiudersi, mentre anche lo spread scendeva a quota 455. In quattro ore, nessun accenno a de Coubertin, icona un po’ ingiallita da tempo finita in soffitta. Ed eccoci ora alle vicende che resteranno, le gare, che (dopo il prologo di calcio e tiro con l’arco) iniziano in mattinata. Al tavolo della roulette olimpica l’Italia cala due carte pesanti: l’alfiere Valentina Vezzali nel fioretto e il siciliano Vincenzo Nibali, appena sceso dal podio del Tour, nella corsa in linea. Ne parleremo più tardi. Auguri a loro e agli altri 288.
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