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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

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Duribanchi / Boston e la compagnia (verde) dell'anello

Giovedì 20 Giugno 2024

 

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“Ha vinto il suo primo titolo il coach di origini italiane Joe Mazzulla, l'allenatore ‘per caso’ al quale pochi giornalisti davano credito. Ma che ha studiato le dinamiche del gioco di squadra facendosi consigliare persino da Pep Guardiola”.

Andrea Bosco

L'ultima volta era stata il 17 giugno del 2008: sedici anni fa. Hanno vinto nello stesso giorno e nello stesso mese il loro diciottesimo titolo, i Boston Celtics, superando tra le franchigie NBA gli eterni rivali del Los Angeles Lakers. La “divinità“ del basket Magic Johnson protagonista, quando giocava, di epici scontri con quello che in Massachusset (e non solo) considerano uno dei più grandi – di ogni tempo – vale a dire Larry Bird, ha scritto: “Odio che i Celtics abbiano più titoli di noi“. Una rivalità che si perpetua da decenni.

Sono le grandi rivalità a far grande la storia dello sport: Real Madrid contro Barcellona, Manchester United contro Arsenal, Juventus contro Inter. Per restare al basket, Olimpia Milano contro Virtus Bologna. Quasi sempre non si tratta solo di questioni tecniche e di stili di gioco. Si tratta di storia e tradizione. In NBA Los Angeles è la città degli eccessi e del cinema. Boston è la città degli irlandesi di fede (osservante) cattolica. Il simbolo dei “Celtici“ è un leprecauno: un folletto di boschi. E (ovviamente) un trifoglio.

Ma una cosa lega, soprattutto, indissolubilmente i Celtics di oggi a quelli del passato: loro lo chiamano “pride“. E per loro significa molto più che “orgoglio“. In ritardo lo ha compreso anche Irving, il (probabilmente) miglior giocatore di “uno-contro-uno“ del mondo, che per qualche stagione a Boston ha giocato e che i suoi ex tifosi decisamente non amano per alcune urticanti dichiarazioni del passato: “Non era Boston la mia prima scelta, quando fui “scambiato“. Ero giovane e non compresi in che luogo fossi arrivato. Non compresi che a Boston la storia è la cosa più importante. Non compresi la “cultura“ dei Celtics. Non mi informai sulle loro famose squadre del passato, i suoi giocatori che fecero parte di quel passato. Non parlai, non chiesi consiglio a chi come Paul Pierce il sangue non ce l'ha rosso, ma verde“.

Paul Pierce era originario di Los Angeles, ma la lunga militanza nei Celtics, lo ha reso un “celtico“. E il pride di Pierce era smisurato. Al pari di quello della società. Che giocava nel leggendario Boston Garden, diventato nel tempo obsoleto. Ma prima di inaugurare l'attuale TD Garden, quelli di Boston smontano l'antico parquet a doghe incrociate come quelli che si usano nelle navi e lo impiantano nella nuova struttura. E' il parquet calpestato da Bill Russell e poi da Dave Cowens, e poi da Larry Bird, da Mc Hale, da Maxwell, e ancora da Kevin Garnett, Ray Allen, Rondo, Paul Pierce; quello sul quale oggi volano Tatum, Brown, Hollyday, White, Porgingis, Horford e quel giovanotto con i capelli tagliati alla militare che chiamano “il marine“, Pritchard, specialista dei tiri da metà campo, in chiusura di tempo.

Ha vinto Boston (4-1) nella serie, asfaltando Dallas del fenomeno sloveno Luka Doncic che in panchina presenta Jason Kidd, uno dei più grandi play della storia dell'NBA. I giocatori che hanno vinto, hanno conquistato il loro primo titolo dopo aver sognato e sbattuto il muso ripetutamente contro i “guerrieri“ della Baia dell'infallibile Curry e contro i Miami di Jimmy Butler. Una regular season esemplare e una serie play off che ha presentato qualche balbettio e ansia da prestazione nella prima gara contro Indiana e (cosa fisiologica) nella “paga“ rimediata in gara 4 a Dallas.

Ha vinto il suo primo titolo il coach di origini italiane Joe Mazzulla, l'allenatore “per caso“ al quale pochi giornalisti statunitensi all'inizio davano credito. Ma che ha studiato le dinamiche del gioco di squadra (difesa e tiro da tre, il mantra dei Celtics) frequentando e facendosi consigliare persino da Pep Guardiola. E ha vinto (finalmente) anche il general manager Brad Stevens che ci era andato vicino da allenatore e che con Butler quando allenava al college con gli “hoosiers“ per due volte perse il titolo NCAA all'ultimo canestro.

L'MVP è stato Jaylen Brown, l'uomo che vola, che parla poco, che gioca a scacchi. Ma la star della squadra si chiama Jayson Tatum: 2,03 di eleganza e intelligenza cestistica. Uno che nei Celtics ha il medesimo ruolo che il compianto Kobe Bryant aveva nei Lakers. Nella prima stagione (preso al draft con una magata: Boston lascia la scelta numero uno di Markelle Fultz a Philadelphia, rivelatosi poi un flop e prende la numero tre di Tatum) il ragazzo che arriva da Duke University non ha praticamente tiro da tre. Se lo costruirà con un duro lavoro. Ma si vedeva già allora che era un giocatore superlativo. Rammento che scrissi a Federico Buffa: “Tatum va al ferro come ci andava Cuck Jura“. Federico, che è un grande ammiratore dello “sceriffo del Nebraska“ mi rispose: “Che bel paragone“.

Ma per fare un grande team non bastano due giocatori e un bravo allenatore. Boston cedendo (con dolore dei tifosi) Marcus Smart, ha portato al TD Garden Holliday e White, due “conti in banca“. Ha portato il 2,20 Porzingis (che fino a quando non si è infortunato ha dato il suo eccellente contributo) e ha riportato a casa il veterano Horford, vero scienziato del parquet, uomo collante come pochi altri. Vincere è sempre difficile come sanno i Celtics: ripetersi durissima, specie in NBA dove la concorrenza è spietata. Ne sa qualche cosa Denver che la scorsa stagione vinse l'anello e in questa neppure è arrivata in finale. Ma se hai in squadra Tatum, ti può venire da pensare che ti abbia accarezzato il destino. “Goose“ Tatum si chiamava anche il più fantastico dei giocolieri degli Harlem Globe Trotters, l'uomo che segnava in “gancio“ da metà campo e si esibiva con un capello in testa.

Ha festeggiato Boston il suo titolo (l'anello che è l'ossessione di ogni giocatore NBA) a bordo dei Duck Boat, mezzi anfibi che solo negli USA potevano concepire. Dall'Italia, dal ritiro della Nazionale, certamente il rammarico di Danilo Gallinari che i Celtics nel 2022 avevano messo sotto contratto, ma nei quali, causa l'infortunio rimediato proprio con la Nazionale, non giocò mai. Danilo non ha mai vinto un titolo NBA e senza quell'infortunio probabilmente questa sarebbe stata la volta buona. Per la cronaca: qualche gara, qualche anno fa con i “verdi“ la disputò anche Gigi Datome, ai quali piaceva molto la sua cultura del lavoro. Il fatto era che a Datome proprio non piaceva l'NBA dove accanto al basket devi saper coniugare anche lo spettacolo. Ma reputo che un messaggio di complimenti Gigi lo avrà mandato. Uno dei tanti ricevuti dai Celtics: perfino quello dell'ex presidente USA, Barack Obama, fan dei Chicago Bulls e grande appassionato di basket.

 

 

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