- reset +

Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
BRUNO ZAULI
“Il più colto uomo di sport”




Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
dall’ Ottocento al Fascismo
(le oltre 400 testate dimenticate)





I sentieri di Cimbricus / Il pifferaio magico che attira e seduce

Domenica 16 Giugno 2024

 

tamberi-ce-prem 


“Tamberi non è uno da luoghi comuni, ma nel suo caso è necessario scomodare l’immagine della Fenice che risorge dalle proprie ceneri. E lui è risorto, ha vinto tutto quello che si poteva vincere e non è stato sfiorato dal passare del tempo”.

Giorgio Cimbrico

Attira, seduce, trascina, coinvolge, provoca passeggero panico quando improvvisa una finta morte in scena, scatena la risata quando svela il segreto del suo successo (molle comprate dal ferramenta), scala la tribuna per essere abbracciato e abbracciare a sua volta il presidente della Repubblica. L’etichetta, il protocollo non si adattano a Gimbo.

Usain aveva l’allegria di un carnevale nelle isole nel sole, Finito lui, come faremo? Si domandavano gli impresari teatrali che hanno bisogno dei risultati, ma sanno che senza showman lo spettacolo rischia di diventare piatto e la noia del pubblico è la nemica più temuta da chi paga molto per mettere in onda. Armand Duplantis va benissimo ma qualche spezia in più è gradita.

E così ora è il tempo di Gian Marco Tamberi, che va a schiacciare oltre l’asticella, che adora l’NBA e da due anni è ospite della Serata delle Stelle perché quelli amano chi sa offrire spettacolo: Lord Sebastian Coe e il suo amministratore delegato – Jonathan Ridgeon – hanno a disposizione il migliore dei consulenti, lui, detto Gimbo, detto Mezza Barba, bizzarro e geniale come tutti i Gemelli, prodotto da una terra, le Marche, che al mondo ha dato parecchio: Pergolesi, Rossini, Leopardi, Valentino Rossi e una dinastia di magnifiche fiorettiste. Musica e poesia. E lo sport, che spesso è sintesi di una e dell’altra.

Lo show dentro: lui lo ha sempre avuto, come una missione, come una necessità, come una risorsa vitale. Da ragazzo, con i capelli di un blu intenso, stupì i giudici chiedendo che l’asticella andasse a 2.46. “Questo è matto oppure ci prende in giro”. Erano i primi segni della sua gioiosa sfrontatezza, dell’ambizione, della necessità di coinvolgere chi dietro una staccionata o su una tribuna andava a seguire le prime imprese e le ascese di questo purosangue bello, simpatico. Tamberi è un tipo moderno ma la sua immagine potrebbe finire in un ritratto di giovane avventuriero dell’età romantica. Metterlo in posa con mantello, stivali e sciabola ed è fatta.

Gimbo è amato perché si fa amare e perché è uno che non si arrende, che non si è mai arreso. Quando otto anni fa, a Montecarlo, dopo aver scavalcato 2.39, andò all’assalto dei 2.41 e si frantumò la caviglia di stacco, un tecnico di grande esperienza scosse il capo e confidò che di fronte a un infortunio del genere non c’era niente da fare. Airone con una zampa spezzata, andò a Rio saltellando sulle grucce: tristezza, per favore va via. Non aveva le ali piedi ma aveva di nuovo il cuore pieno di speranze. E un anno dopo, quando usci in qualificazione ai Mondiali di Londra, versò un fiume di lacrime, vere e lucenti, che commossero tutti quelli che l’avevano inseguito in quel boccaporto. Era stato appena superato da Majd Eddin Ghazal, il povero siriano che già a quel tempo aveva difficoltà a trovare un posto dove allenarsi e che trovò un sorprendente posto sul podio.

Tamberi non è uno da luoghi comuni, ma nel suo caso è necessario scomodare l’immagine della Fenice che risorge dalle proprie ceneri o la strausata definizione “solo chi cade può risorgere”. E lui è risorto, ha vinto tutto quello che si poteva vincere, all’aperto e indoor, e non è stato sfiorato dal passare del tempo. E così, agli Europei, prima gara di stagione, ha domato 2.37, la stessa misura che gli aveva dato l’oro olimpico in coabitazione con l’amico Mutaz Essa Barshim ed è diventato per la terza volta campione d’Europa, come uno dei pilastri dello sport italiano, Adolfo Consolini, il discobolo che dominò la scena di un periodo difficile, di rinascita, tra il ’46 e il ’54.

Lui è così, espansivo. E, accanto, sa essere un agonista feroce con gli altri e con se stesso, capace di rovesciare le sorti di una battaglia che sembra perduta e portarle a suo clamoroso vantaggio. Spalle al muro, stava uscendo a 2.29. Da quel momento la perfezione di tre ascensioni a 2.31, 2.34, 2.37, record dei campionati strappato all’elegante russo Andrei Silnov. “Era l’obiettivo ed è arrivato”. “Avesse chiesto 2.40, gli avrei detto di smettere”, dice Antonio La Torre, direttore tecnico di questa Italia delle meraviglie e dei raccolti abbondanti.

Dopo il divorzio tecnico dal padre Marco e aver scelto un altro “adriatico” – Giulio Ciotti –, Gian Marco ha fissato il succedersi degli anni in un’eterna giovinezza e ha deciso che questi giorni felici debbano essere gai, disinvolti, coinvolgenti. Perché lui ama quelli che lo amano. Se diventa campione olimpico, questa volta in solitario, cosa improvviserà? Uno come lui non ha bisogno di copione.

 

 

Cerca